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Senza titolo

di Peach Pony
dalla fanzine Pelures et criniers – L’integrale Edition Anthologie
[traduzione a cura di Hormony con il prezioso supporto di Val(e)]

Questa sera sono andata a un cinema porno. Alle 8 di sera è meno caro. Ho finto una cena con dex amicx per scappare da altrx amicx che avevano in programma di andare a vedere dei film horror per Halloween in modalità Queer al bar. I miei soli sei euro. Sono in dubbio sul rubare una birra da 66 prima di entrare ma poi non lo faccio. Dico al cassiere grazie, ragazzo. Lui mi dice no, ragazzo no. Mi scuso. Entro nella sala. Prendo posto. Indosso una tuta a rete, rossetto e rosso sugli occhi. Tu arrivi subito, sei appena arrivato. Io lo stesso. Sei bello. Hai un viso molto fino e gli occhi a mandorla. Mi hai appena baciato. Ti bacio. È così intenso. Mi dai il tuo culo e io te lo lecco. Ti do il mio culo e tu me lo lecchi. Tu mi dici sono trans. Io ti dico anche io. Limoniamo molto molto molto a lungo con la mano nei pantaloni. Popper. Metanfetamina. Facciamo l’amore come delle bestie, perché sono switch. Ci giriamo e rigiriamo. Fa caldissimo. Sempre col preservativo. Rosa al gusto fragola. Arriva un tipo che vuole unirsi. Lo allontaniamo e avviciniamo a più riprese. Gli chiediamo dei soldi. È reticente. Insistiamo. Si scusa di non poter dare tanto. E lascia un biglietto da 20 euro. Esco dal cinema. Vado a prendere qualcosa da bere e torno. Tu vuoi tenere le mie chiavi tipo cauzione perché non ci conosciamo. Corro all’alimentari. Torno con delle birre. Tu sei sempre lì in mezzo alla sala vuota che geme. Un film porno.
Sempre la stessa tipa con i capezzoli rosa oliati che si fa scopare su una spiaggia di sabbia con i piedi nell’acqua. Ridiamo delle voci fuori campo surreali. Tu mi parli di tutte le cose pese che sono successe qui sotto i tuoi occhi. Un fagiano accoltellato dopo un tentativo di stupro. Un tipo in overdose steso al suolo per tre ore senza che nessunx intervenisse. Un tipo che si è fatto fistare veramente troppo forte e di cui tu sei stato il presunto colpevole. Mi chiedi di fistarti e subito. Mi racconti la tua storia con una tipa trans. È stata la tua relazione più importante. La donna trans operata più giovane della città negli anni 2000. Droga e ormoni non vanno bene insieme. Massacro. Siamo sempre intrecciatx rotolando per terra, facendo avanti e indietro da una parte all’altra della fila di sedili pieghevoli per scambiarci testa-piedi. Il film finisce e si accendono le luci. Ci vediamo tutti i difetti e ce ne freghiamo ci baciamo ancora e ancora scopiamo ancora di più davanti al proprietario che insiste che vuole chiudere il locale. Ci chiediamo un’espressione verbale simultanea. Cosa che possiamo fare benissimo. Marsiglia città della perdizione. Ti hanno rubato tutto ieri non puoi rientrare a casa tua ma t’invito da me non ho niente da perdere. Penso che tu abbia un fascino immacolato mai visto e un’ispirazione di cui è impossibile annoiarsi. Sei mix e io sono tux adesso. Tutto fila liscio e ci abbracciamo lungamente. Andiamo via dal cinema che con le luci accese sembra squallido e ci mettiamo a urlare sulla Canebière. Andiamo verso Cours Julien, mano nella mano. Aspettiamo per un bel pezzo davanti ai tornelli della metro. Io ci passo sotto e visto che tu sei invalidx e non puoi scavalcare i tornelli riesci a sgattaiolare dietro un vigile che sta uscendo. Poi riesci ad entrare da un’altra entrata e arriviamo insieme sulla banchina. Siamo super stravagantx e continuiamo a scopare con discrezione ovunque sulla banchina e a sputare per terra. Tu mi prendi contro un muro di mattoni e la metro arriva, tu mi ci lanci dentro, cado per terra, tu ti butti su di me e facciamo un 69 vestitx nel vagone. Fermata Notre Dame du Mont.
Incrociamo un tipo divorziato super chic che dice di volersi sbronzare e che non gliene frega più niente della morte. Probabilmente si suiciderà. Non lo derubiamo davanti alle telecamere né ce lo portiamo appresso per festeggiare con noi, no no no.
Arriviamo a Cours Julien e un tipo splendido ci canta delle canzoni. Tu dici che fai la trap come Niska, mi fai pure ascoltare i tuoi pezzi. È una ficata. Su vostra richiesta, canto anche io il mio più grande successo Youtube. Ci fumiamo un sacco di sigarette e della gente che fuma crack viene a chiederci un accendino che poi ci rubano. Si nascondono nel parcheggio sotterraneo e mezz’ora più tardi, contro ogni aspettativa, tornano uscendo dal parcheggio per restituirmi l’accendino, dandoci un bacio per ringraziarci, poi ci si avvicina un tipo che conosco che ci propone di andare con lui a fare after all’Asile e là veramente sembriamo dei fenomeni. Chiedo alla gente se sei un accollo e la gente mi dice “non ce ne sono di accolli qui”. In realtà hai parlato con chiunque senza mai ascoltare veramente facendo invece l’elogio della tua vita per strada. Siamo talmente sbronzx. Abbiamo scroccato alcool a chiunque. Senza smettere mai di limonare.
Decidiamo di andare da me.
Per strada ti piscio in bocca e tu l’adori. Ovviamente sputi. Non ingoi. Io ti bacio direttamente e sputo il mio stesso piscio per terra tra i bidoni dell’immondizia.
Appena prima di entrare da me ci mettiamo sul marciapiede e fumiamo qualche sigaretta. Ci mangiamo il resto della crepe al cioccolato che hai trovato al Vieux Port, quella che ti ha rovinato a inizio della serata, poi entriamo a casa. Ti sdrai direttamente sul letto. Sei già svestitx. Hai addosso solo la tua t-shirt bianca. Il tuo piccolo culo è spalancato per me.
Ti ci affondo il pugno destro, avvolto in un preservativo vaginale e giro tipo cacciavite. Dura per un po’, poi mi ritraggo. Tu torni a sederti ma ops cadi sul mio cazzo di donna trans e iniziamo a incularci tempo 5 secondi: c’è del sangue ovunque sui miei genitali e mi impanico senza darlo troppo a vedere. Un liquido rosa, un mix di lubrificante e sangue si sparge su di me e sulle lenzuola <3
Corro al bagno dove inizio a scrivere una richiesta di soccorso all’associazione che si occupa di HIV.
Domani mi infilerò di nuovo nella dura prova del trattamento d’urgenza post-esposizione.
Continuiamo a scopare come non mai.
40 cm di strap-on nel mio culo, a una certa sanguino copiosamente ma quello dovevamo aspettarcelo. Tu prendi la bottiglia che uso come vaso da notte e bevi la mia piscia. Te la tiri e poi sorridi con fierezza. Tiri fuori le tue budella dall’ano. Sempre con molta fierezza. Io ti supplico di metterle a posto. Rose bud. Sessione origami.

Vertigine

di roaR

“Eccone un’altra” mi dici, indicando un groviglio di filo spinato nascosto in un cespuglio di rovi. Frughi nello zaino e tiri fuori una maglietta appallottolata. Usandola a mo’ di guanto, afferri un capo della matassa e inizi a tirare. I muscoli delle spalle si muovono sotto la pelle, sollecitati dalla fatica. Noto che sotto la spallina della canottiera la pelle è più chiara rispetto alla spalla, che brilla bruna e sudata sotto il sole di giugno. Le vene delle braccia si gonfiano per lo sforzo, mentre tu tiri, tiri e tiri ancora, finché il groviglio arrugginito inizia ad assecondare il tuo movimento, staccandosi dai rovi, come un enorme pesce, portando con se’ terriccio, spine, foglie e detriti.

“Questi cazzo di bracconieri” dici quando il filo spinato è finalmente sradicato e mi sorridi, con la fronte ricoperta di sudore. Io ti sorrido a mia volta, il sorriso più grande che ho, che arriva da qualche parte vicino allo stomaco, forse ancora da più giù. Per un attimo il tuo sguardo si sofferma sulle mie tette, che la maglietta sportiva riesce a stento a contenere. Io me ne accorgo, mi passo una mano sul petto, come per lisciare la stoffa della maglia. Tu, imbarazzato, distogli lo sguardo.

“Era un sacco di tempo che non vedevo trappole su questo sentiero” sussurri, con gli occhi piantati a terra. Io sorrido di nuovo, vengo verso di te e ti dò un bacio sulla guancia, premendo con delicatezza il petto contro il tuo fianco. Ti sento trattenere il respiro e, nello stesso momento, percepisco la lieve pressione dei miei capezzoli contro il reggiseno. E’ piacevole. “Rimettiamoci in cammino che il rifugio chiude alle quattro” mi dici, con gli occhi neri che scintillano sul viso accaldato. Attraversiamo un boschetto di querce e carpini, poi la radura si apre nuovamente, mostrando un cielo limpido e un’ampia vallata. Sento un rombo in lontananza, come di un aereo che sta per decollare. Ti fermi di colpo e ti sporgi verso il precipizio, appoggiandoti a un grosso masso ricoperto di muschio. “Sempre le ruspe” mormori con un filo di voce, “vieni a vedere”. Io ti raggiungo, facendo attenzione a dove metto i piedi. Sbircio giù da dietro la tua schiena, provando un leggero senso di nausea. “Tranquilla”, mi dici, “ti tengo io”. Tenendomi per mano mi fai scivolare al tuo fianco e poi davanti a te. Mi cingi la vita con le mani e premi il bacino contro il mio. Inspiro ed espiro fortissimo, poi guardo giù, verso la valle. Vedo un puntino giallo in fondo, la ruspa. Il tuo respiro mi sfiora l’orecchio, è caldo e confortante. Spingo il bacino un poco di più contro il tuo, facendolo oscillare impercettibilmente, e sento il tuo cazzo attraverso la stoffa impermeabile dei pantaloni. Il tuo respiro vibra più forte contro i miei lobi. Fai per staccare le mani dai miei fianchi, ma io le prendo tra le mie e le premo ancora più forte contro di me. Rimaniamo così per qualche secondo, bacini e mani intrecciate, respiro forte e bollente, rombo tremendo e regolare. Inizio a muovere molto lentamente la tua mano destra lungo il mio fianco. La mia maglietta si arrotola sotto la pressione, finché le tue dita sfiorano la mia pelle nuda. Continuo a muovere la tua mano lungo le mie costole, sempre più su, fino a toccare il cotone leggero del reggiseno. Il tuo respiro si ferma per un attimo, poi ti sento deglutire. Prendo la tua mano sinistra e la faccio scivolare sul mio addome coperto dai pantaloncini, poi piano piano la guido sotto la stoffa, fino al bordo delle mutande. Centinaia di metri più in basso, il puntino giallo si muove pesantemente tra gli alberi, come un grosso mammifero. Intanto la mia nausea si è trasformata in qualcos’altro. Sento un brivido che dall’osso sacro si espande lentamente lungo i lombi. Deglutisco anch’io. Mentre muovo la tua mano sinistra sulla pancia, la destra si infila sotto il ferretto del reggiseno, senza più bisogno della mia guida. Le dita afferrano il mio capezzolo già turgido e iniziano a massaggiarlo dolcemente. La mia fica si contrae, mentre un rivolo umido mi bagna le mutande. Stringo più forte la tua mano sinistra e la sposto con un gesto deciso sul pube. Tu sembri indugiare, poi gemi forte nel mio orecchio e stringi il mio capezzolo tra le dita della mano destra, mentre quelle della sinistra giocano un po’ con i miei peli, per poi infilarsi con dolcezza nella mia fica fradicia. Ti bagni bene il pollice e l’indice con il mio liquido e poi afferri la mia clitoride, gonfia e fremente. E’ come se tutto il sangue che ho in corpo confluisse in quei due punti, abbandonando a se stessi tutti gli altri organi. Le tue dita bagnatissime scivolano sulla clitoride, mentre un rivolo caldo e abbondante inonda tutta la mia vulva, innaffiandone le pareti, le labbra, gli orifizi. Sento le contrazioni farsi sempre più intense e frequenti, non riesco più a trattenermi. Afferro le tue dita e le premo fortissimo contro di me, in alto a stringere il seno, in basso contro la clitoride, che adesso pulsa e trema intensamente, mentre sento un brivido che mi attraversa la pancia e investe il mio diaframma, poi da lì arriva nella trachea, come fosse elettricità, e si trasforma in voce, una voce profonda, disperata, una voce sconosciuta. Il mio ululato rimbomba per tutta la valle, rimbalza tra le pareti devastate, da una lastra di marmo sgretolata all’altra, tocca l’acciaio della ruspa e si intreccia al suo verso, lo ricopre, per poi avvolgere tutti gli alberi, i falchi, il sole infuocato. Il mio corpo è elettrico, attraversato da spasmi. La fica è un animale, che sobbalza e si contrae, dieci, mille volte. E poi tutto si calma. L’ululato diventa respiro, il petto non trema più, la vulva è distesa, completamente aperta, le labbra rilassate. Guardo ancora giù, ma ora non sento la vertigine. Ho solo voglia di accasciarmi sull’erba, il corpo pesante, chiudere gli occhi e lasciarmi cullare dal rombo d’acciaio di questa natura.

 

Com’è un racconto erotico scritto da una demisessuale?

di Berenice

Com’è un racconto erotico scritto da una demisessuale? Non lo so ancora e questo è un motivo sufficiente per desiderare di farlo. Sicuramente ho la maledizione di non riuscire a immaginare generiche e perfette donne-angelo-puttane da coinvolgere in pratiche sessuali futuristiche, potendo attingere con trasporto solo a quel selezionato e concretissimo bacino di persone a cui farei e da cui mi farei fare l’impossibile. Questo è un po’ il motivo di fondo rispetto al fatto che quando guardo i porno non riesco a empatizzare ed eccitarmi. Tutto deve essere estremamente specifico e personale, tipo mi masturbo pensando a ripetizione alle mie migliori scopate sentimentali O a quelle che seguiranno. Suona tutto molto vanilla ma garantisco che non lo è. Comunque.

Chiudo gli occhi. Tocca scegliere l’ambientazione. Outdoor non mi piace, o meglio, mi piace solo l’idea di farti infuocare le guance circondata da estranei, di vederti le gambe tremare presagendo un cedimento. Ma poi ti porterei a casa. Quest’idea mi piace, mi fa sentire cose.
Iniziamo. È un giorno feriale come tanti altri, indossi quel vestito lungo a fiori che mi svela solo il segreto del tuo collo e dell’incavo del petto da cui ti si intravedono i seni. La tua pelle è così chiara da annebbiarmi la vista, una pelle così nasce per essere segnata e non sono io a fare le regole. Seduta accanto a me, nel dehor di un bar, mi parli di una di quelle tue -nostre- cose da intellettuali e ridacchi. Io rido assieme a te, sinceramente, ma c’è qualcosa nel modo in cui ti si arricciano gli angoli delle labbra quando ridi che mi fa venire la smania di spalancarti le labbra per succhiarti la lingua. E sputarci dentro. Questo pensiero mi distrae da quello che mi stai dicendo e mi chiedo se tu te ne accorga quando ti guardo così, strizzando gli occhi quanto basta per guardarti e immaginarti godere per mano mia. In questo momento, seduta così di fronte a me, non tieni le gambe accavallate. Quindi lo prendo come un invito per metterci in mezzo il ginocchio. Vedo che aggrotti le sopracciglia, sei sorpresa? In ogni caso la stoffa del vestito che indossi è sottile a sufficienza per farmi sentire quel calore, proprio quello, e l’accenno morbido della tua vulva protetta dalle cosce. Non spingo. Preferisco continuare a parlare con te come fosse niente, inchiodandoti gli occhi negli occhi. Non voglio perdermi le tue pupille che si allargano mentre mi avvicino a te. Sei brava a dissimulare e questa cosa mi rende agguerritissima. Ti riempio di domande, parlami di questo e questo e di questo che ne pensi? nel frattempo inizio a farmi spazio tra le tue gambe, con il varco aperto dal mio ginocchio che adesso preme più prepotentemente. Non dici niente ma per un attimo hai smesso di respirare. Allora mi senti, mi dico. Mi avvicino per dirti una cosa all’orecchio e ti prometto che non è una porcata, te lo giuro, quelle voglio fartele con le mani e non dirle con la bocca. All’orecchio ti dico solo che sei proprio carina con questo vestito, mi piace, si vede? La tua pelle d’oca risponde al posto tuo. Rapidamente, senza neppure alzarti la gonna, disegno con la punta delle dita una piccola spirale che dal ginocchio sale costeggiandoti lo spazio tra le cosce, presente ma ancora coperto. Indugio un po’ lì, e infine arrivo a sentire il piccolo solco dell’ombelico. Tra non troppo la mia lingua sarà anche lì. Andiamo? Ti prendo per il braccio. Mettiamoci in quella panchina, mi siedo per prima così posso prenderti e metterti a sedere sulle mie ginocchia. Ti avvolgo la vita con le mani, mi dici non sono la tua bambolina, scema, si che lo sei, dammi i capelli che ti faccio una treccia, va bene, mi stai sul cazzo, anche tu, a volte penso che vorrei avere il cazzo solo per vedertelo in bocca ma non te lo dico questo. Il tuo collo è ricoperto da una peluria trasparente sottilissima che mi ricorda le albicocche, te lo dico. Sesso e cibo la mia ossessione. Le mie mani si muovono sapientemente intrecciandoti, sento che ti abbandoni alle mie mani e le scariche elettriche che mi si irradiano dai piedi al capo si fanno sempre più crudeli. Ti voglio tirare questi cazzo di capelli e usarli per strangolarti. Treccia finita, come stai bene, bambolina. Resta seduta sulle mie ginocchia ancora un po’. Ti mordobacio il collo e con una mano ti stringo la vita, aggrappata al tuo ventre. Il tempo comincia a scorrere nuovamente in un modo che non capisco e diventi silenziosa, le tue apnee discrete si intensificano mentre ti pianto le unghie nella carne. Girati. L’urgenza con cui ti invado le labbra. Potrei morire qui e ora, sono cardiopatica, gioco a fare la grande ma sai meglio di me che sono io a pendere dalle tue labbra, ma ora non mi importa. Sicuramente ci sta passando accanto un sacco di gente e onestamente vorrei essere in loro perché so quanto siamo belle adesso. È mentre che mi baci indietro che ti infilo le dita sotto il vestito. Non mi basta più. Chiudo le mani a coppa per contenerti. Sei bagnata, lo sento senza il bisogno di oltrepassare le mutandine e questo mi fa sfuggire un piccolo gemito compiaciuto. Naturalmente, selvatica come sei e orgogliosa, mi ricacci indietro la mano e ti stacchi da me. Che c’è? Stai bene? Ti vedo un po’ provata, hai le guance così rosse. Sei una stronza. Andiamo a casa, dai. No. Se non vieni a casa da me, ti prendo per strada. Ti prendo per strada significa che ti spintono in un angolo e mi infilo sotto la tua gonna e ti lecco. Conviene che lo facciamo in un letto, no? Si ok vaffanculo. Ti prendo per mano e ringrazio iddio che abito in centro città perché io di prendermi un autobus e stare altri venti minuti senza toccarti non ci riesco. Non ci riesco e basta. Saliamo le scale di corsa. Devo aprire la porta ma nel frattempo che armeggio con le chiavi una mano sul culo non te la toglie nessuno, anzi, ti tengo proprio davanti a me così che posso appoggiarmi a te con i fianchi. Vorrei avere il cazzo, dinuovo, ma questa cosa che devo aspettare per toccarti mi eccita quindi va bene così. La porta è aperta. Ti concedo la scelta di dove, non di cosa, dici un letto e io sono d’accordo perché va bene tutto ma stare comodi è importante. Finalmente, finalmente ti spoglio, quasi non ci credo. Mi avvento sul tuo collo mentre ti stringo forte che quasi vorrei mi trapassassi. Le mani affondate tra i tuoi capelli, ti manovro come un burattinaio, porno. Sdraiata sulle mie lenzuola rosse prego tu abbia le mestruazioni. Se me lo chiedi, ho sempre voglia di bere il tuo sangue. Ti vengono la settimana prossima ed è tutto ok, tornerò, rido. Continuo a baciarti, sono su di te, finalmente pelle contro pelle e sento i tuoi peli morbidi imperlati di umori. Posso? Ti chiedo, nella frazione di secondo in cui mi separo dalla tua bocca per respirare. Si. Secco. Ti metto le dita in bocca, voglio la tua saliva, corro verso la tua fica perché non voglio perdermi una singola goccia. Ecco il clitoride. Inizio massaggiandolo delicatamente, voglio conoscerti meglio, capire come reagisci. I tuoi respiri si fanno più profondi, le apnee più frequenti. Ti ascolto attentamente mentre ti scivolo lentamente dentro, prima un dito. Mentre lo faccio, tengo la mano sinistra sul tuo ventre e spingo delicatamente verso il basso. Così mi senti dentro e fuori. Incurvo ad uncino, ti masturbo e ti preparo ad allargarti ancora un po’. Il secondo dito scivola dentro, sei calda e bagnata e tremi. Sei bellissima. Ti prendo in bocca mentre continuo a scivolare dentro e fuori  da te, e non c’è tempo e non c’è coordinata perché qui e ora è perfetto. Ti bevo finchè ce n’è. Prenditi il tuo piacere, io lo sto facendo insieme a te.

La signora Maria

di Francesca Colombo

Stare in ospedale è un po’ come stare in collegio oppure, immagino, in prigione: improvvisamente ti ritrovi a dividere ogni intimità con donne sconosciute. E dopo l’operazione devi sanguinare, vomitare e piangere davanti a tutte sopportando pure le altre che fanno lo stesso.

La signora Maria fin dall’inizio mi stette antipatica. Mentre ci sistemavano in due letti vicini mi toccò stare a sentire mio figlio, mio marito e i parenti di lei, tutti contenti perché ci avevano messe insieme. E quant’era bello secondo loro, che due vecchiette abruzzesi si ritrovassero in quel grande ospedale del Nord! Quanta compagnia ci saremmo fatte! Era come se fossimo due bambine, costrette a far finta di essere amiche per compiacere gli adulti.

In realtà io e lei non avevamo niente in comune. Io sono di Pescara, signora di città, lei una burina fatta e finita; una pastora proprio, delle montagne sopra l’Aquila. Non esagero, anche se mio figlio mi dice sempre esagerata; bisognava sentire che cose raccontava alle infermiere.

«Eh, fja mia, che gli fa un terremoto alla mia casa?  L’ho costruita io… mio marito metteva le pietre, io mescolavo la calce, il figlio che allattavo me lo portavo sulle spalle …»

«Ma davvero, davvero, signora?»

L’ascoltavano come se raccontasse chissà che film. E ridevano di ogni scemenza che diceva, anche.  Perché aveva un modo di mettere in ridicolo tutto: il dolore, il cibo unto e sciapo, i medici su cui faceva apprezzamenti proprio da donna volgare.

Quando passavano a me, invece, si componevano una faccia professionale. Capivo che s’aspettavano di annoiarsi perché avrebbero sentito solo lamentele. Io sono sempre stata una donna come si deve, perciò che ho da raccontare?  E di cosa si dovrebbe parlare in ospedale, se non dei propri mali? Che poi mio figlio dice che non parlo d’altro.

Io, anche a ottant’anni, ho cura il mio aspetto. Così deve fare una donna e così faccio. Lei invece, quanto era brutta! Tanto per cominciare aveva la barba: una vera donna barbuta. Poi i capelli raccolti in tuppo o addirittura sciolti, scarmigliati, ancora neri da fare impressione. Piccolina, larga di fianchi ma magra, la pelle della pancia e dei seni che le pendeva addosso come se ancora fosse stata incinta (quando la spogliavano mi toccava vedere) e due gambette secche e storte. Con le quali già dopo pochi giorni dall’operazione correva per la stanza, mentre io, che avevo fatto lo stesso intervento, me ne stavo a letto a fissare il soffitto con tutto il corpo addolorato.

E mio figlio: «Dai, mamma, l’hai sentito, il dottore, prendi esempio dalla signora Maria!»

Mio marito non parla mai; ho quasi dimenticato la sua voce. Ma mio figlio ha sempre da comandare e da ridire, come se adesso il padre di famiglia fosse lui. É bravo, intendiamoci, si prende cura di noi, ma vorrei che ci portasse più rispetto.

In ospedale, le notti cominciano presto e non finiscono mai. Stavo a letto a piangere dal male, a desiderare di rigirarmi senza poterlo fare, a chiedere la padella alle infermiere sempre più sgraziate; e per cercare di addormentarmi dicevo il rosario.

«Signò» mi sussurrò la Maria dal letto vicino «ce l’ho io una cosa che vi fare fa stare bene bene, meglio del rosario»

«E che è?» risposi per non essere maleducata.

«Eh, vedete» continuò abbassando ancora  la voce, per non farsi sentire dalle altre malate e dai parenti addormentati sulle poltrone «Si va di notte con l’amiche sul monte, s’accende un bel fuoco, si balla e  si sta in buona compagnia…e non per dì, s’hanno amicizie importanti…  altro che la vergine del rosario.»

Poi s’azzittì. Mi appoggiò qualcosa sul comodino.

«Mangiate, signò, è un dolce fatto col miele delle api mie.»

E siccome esitavo aggiunse pressante: «Signò, ve lo dò perché mi fate pena davvero. Magnatevelo, che vi fa meglio di tutte le medicine dei dottori.»

Mangiai questo dolce di montagna tosto e duro, buono anche se con un aroma strano, e poi forse mi addormentai.

Forse, sì e forse no, perché a un certo punto ero sveglia e c’era un giovane chino sul mio letto. In un primo momento mi sembrò quello che mi faceva la fisioterapia, ma era tanto più bello, tutto biondo. E mi abbracciava e mi accarezzava come mio marito quando ero sposina. E non volevo aprire le gambe perché avevo appena fatto la protesi d’anca, ma mi è venuto facile, e in mezzo ero spalmata di miele, e la sua lingua anche, il mio corpo e il suo respiro profumavano di miele…

Stamattina mi sono svegliata e ho visto che c’è il sole. Per la prima volta da tanto tempo mi va di alzarmi, lavarmi, mangiare. Soprattutto vorrei altro miele, ma non queste scatoline di plastica dell’ospedale, miele buono di montagna, è come quando ero incinta.

E a farlo apposta, proprio oggi le infermiere si preoccupano per me: dicono che sulla mia coscia sinistra ci sta una macchia bianca, dura, tonda, che prima non c’era. Hanno chiamato il dottore che adesso è qui con mio figlio e mio marito, tutti preoccupati, vogliono prenotare una visita dal dermatologo al più presto.

A me non importa, e sì che l’ipocondriaca dovrei essere io.

La signora Maria l’hanno dimessa stamattina. Mi ha lasciato il suo numero di cellulare. Prima di partire, un momento che eravamo sole nella stanza mi ha bisbigliato: «Signò, venite a trovarmi presto, che vi faccio i dolcetti e vi invito a uno di quei balli che sapete…»

Dio mi perdoni, ma sono proprio tentata di accettare. Qualcosa mi dice che se vado sul monte con le amiche della Maria, a ballare intorno al fuoco, ho speranza di rivedere quel bel giovanotto.

Istruzioni per masturbarsi ✏️

[preferisci ascoltare il Porcast del racconto? apri bene le orecchie e clicca play ▶️]

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di Itsasne Gaubeca

da Relatos marranos. Antología (D-fracciones)
Pol·len Edicions
[traduzione a cura di Hormony]

Inizia a sfilacciare i sensi acidi della tua maglietta.

Lecca lentamente ogni angolo della tua decenza e assorbine tutti i sapori
fino a che il decoro si faccia caramello e la pioggia accompagni i tuoi battiti.
Condisci la tua pelle con feromoni
e trasporta quella musica lungo tutto il collo, il torso e la schiena.

Nutri il tuo sguardo con specchi sfocati, e,
quando dal campanile l’acustica della tua pancia implorerà l’attenzione dei fedeli,
aggiungi tre cucchiai di tempesta libidinosa.

Continua palpando spontaneamente le tue viscere mentre espelli i vapori che esali.
Soprattutto, non seguire consigli e spegni il telegiornale.

Ridi del porno mainstream mentre canti una ninna nanna,
un irrintzi, un canto gregoriano, o quello che preferisci.

Ti consigliamo di mangiarti il basco e pulirti il cioccolato dalle unghie,
per ridurre l’iperventilazione
e non agitare le vicine che annaffiano i loro tramonti.

Con le  mani amati il flusso sanguigno,
alza il volume, graffia il cuscino,
regola la pressione dell’acqua e cospargi i tuoi seni.

Fischietta, salta, scrivi un paio di poesie e inventa dei draghi senza spine.
Non dimenticare di spruzzarti di zenzero e di tracciare il contorno delle illustrazioni labiali
fino a che il tuo bacino disegni un sorriso.

Ripeti almeno una volta alla settimana,
prima che si raffreddi la zuppa
e che la corrente si porti via i latrati.

 

Hot Sado

di Car Killer per Tino Mutant
[traduzione a cura di Hormony]

Io non salto i semafori rossi, io me li scopo. E sì, signor buon cittadino (poliziotto in
motocicletta-macchina-pedone) paternalista, l’ho visto, il semaforo. Ho visto che si faceva rosso e mi ci sono addentrata apposta, ex professo, con coscienza. Adoro i semafori rossi, mi eccitano tantissimo. Sono il palco dove gioco e mi perverto. Sesso su ruote. La dark room delle automobili, il dungeon della strada. Lì entro io, grande e dominante, impoterata e bagnata, ardente. Trionfale. Alla luce rossa di un semaforo la mia clitoride va in erezione. Un ingorgo, un covo di auto. Se te ne scopi una, te le scopi tutte. Le squarci infilandoti tra di loro, dall’ultima alla prima in tre secondi. Ogni pedalata una frustata, ogni fischio, ogni insulto, un gemito. Con le mani legate, bloccati nell’ingorgo, non possono fare altro che osservare la loro umiliazione. Il meglio viene quando oltrepassi questa prima linea di sottomessi felici.
Il pericolo si avvicina, il piacere pure. Mi sono già scaldata, fine dei preliminari. Adesso affronto le macchine, che arrivano calde anche loro con il semaforo verde. Un secondo è il tempo che ho per passare. Il gioco erotico del movimento del mio corpo con i loro telai, accelerando il ritmo, decelerando, a seconda che vengano da dietro o da davanti. Me le scopo tutte. Una pratica BDSM con consenso e safeword. Appena uno di loro accelera troppo, io smetto di giocare. Però aumento la tensione cercando il loro limite e loro gridano, si lamentano, mi insultano, gesticolano, si contorcono. Anche loro lo adorano. Orgasmi intensi del tempo di un secondo. Vengo quando sto già dall’altra parte. Ubriaca, eccitata, desiderosa di più. Semafori rossi per tutta la città. Orgasmi senza posa, orgasmi con ogni auto, con ogni segnale trasgredito, con ogni pedone amareggiato, con ogni strada in controsenso… Oh, macchine! Oh, buoni cittadini! Non fate altro che eccitarmi! Vengo a
fiotti coi vostri consigli! Quante più auto e buoni cittadini, tanto più vengo. Critico la città, odio le macchine, ma adoro scoparmele.


testo originale tratto dalla fanzine Recopilatorio de escritos sobre género y bicicleta (Raccolta di scritti su genere e bicicletta)
dei collettivi BICICITETAS (Karcelona) e CICLIÁTRICO (Madriz)
bicitetas.wordpress.com

Di sogni erotici, corpi pulsanti e fantasie

di Vì

Ci sono quelle notti in cui mente e corpo entrano in connessione. Le pulsioni fisiche stimolano quelle mentali e quelle mentali assecondano quel calore che sale, che muove il corpo alla ricerca del piacere totale.
Quel dolce pulsare, costante e cercato, che ti spinge ad assecondarlo e a lasciarti abbandonare.
Ed è così che entro in una casa in costruzione. I colori sono scuri. Forse è notte. Non lo so dove sono, ma vado, entro in questa immagine seguendo il battito della mia clitoride. Fa caldo. Il respiro si fa più profondo e frequente.
La casa è vuota. C’è un misto di paura e di voglia di curiosare.  Ho indosso solo una camicia. Dovevo andare ad una festa, ma invece mi ritrovo in questo posto tutto da costruire. Ci sono delle lampadine accese. Un piccolo filo di lampadine. Illuminano una parte della struttura.
Ciao. Una voce, forse conosciuta, forse no. È tutto molto lento, o forse veloce. Il tempo si confonde. Solo quella stretta allo stomaco si sente forte. Lei.
Mi accarezzo tra le cosce.
Sono qui. Qui dove? Dietro di te. E quella carezza tra le gambe diventa un dito che percorre la schiena dal collo alle natiche.
Come stai? Che ci fai qui? Volevo salutarti. È un po’ che non ci vediamo.
Lei è nuda. Perché? Che ci fa in questa casa in costruzione nuda? È un sogno o un desiderio? È bella.
Il respiro aumenta. L’umidità aumenta. Fa caldo.
Perché mi guardi così? Sorride.
Perché è bello vederti. Sei bella.
La mano si bagna mentre si spinge di più in alto fra le cosce. Quel pulsare attira, gonfia, piace.
Forse è quella la festa, ma perché ci siamo solo noi?
Il tempo di chiederselo e aumenta il vocio nella stanza di fianco. Lei si gira e saluta. Inizia questo flusso continuo di persone. Un bacio, uno più lungo. Poi un altro. Un altro ancora. Baci, lingue, saluti. Corpi nudi, semi vestiti. Ed è Lei la protagonista. Tuttə sono venutə a salutarla.
Quel seno è bellissimo. Sembra un brillante, in quella stanza con flebili luci. I colori sono scuri. Verdi, blu, viola, nero. La luce bassa e calda delle lampadine lascia intravedere poco. Ma basta.
Il respiro è ancora più profondo e veloce. Il pulsare anche. La mano si muove toccando tutta la vulva. Il polso preme sul clitoride e sul pube. È un movimento automatico. Assonnato, ma deciso.
Il corpo segue. La mente stimola.
Lei è lì in mezzo alle altre.
Estate dentro, estate fuori. Caldo bruciante. Io resto lì persa nello sguardo e con il corpo eccitato. La vedo ridere mentre un’altra le sussurra qualcosa all’orecchio. Lo morde. La sculaccia. È divertita, sensuale, maliziosa. Si passa la lingua sulle labbra. Ride ancora.
È un continuo scambio di sguardi, sfioramenti, lingue. Quel respiro affannoso spinge a cercare, esplorare. Nella penombra cammino lentamente. La seguo, mi lascio perdere dietro il suo vagare consapevole di ciò che vuole cercare.
Ci sono gemiti, rumori di frusta. Decisi, cadenzati. Un ritmo regolare. Intensità variabile. Verde, viola. Rumore sordo, sonoro.
Il polso continua a spingere contro la clitoride. A tratti piano per lasciare crescere la voglia e far durare quella sensazione di piacere, permettendo alla mente di fare di più….di osare di più.
Lei si muove. I ricci ondeggiano. La mia faccia tra quei ricci. La mia faccia fra le sue gambe. Gli stessi ricci.
Il respiro si accompagna ad un gemito.
Lei si volta ride. Si rivolta, prosegue a camminare, cercare, toccare, conoscere. Una nuova stanza. Nuovi incontri. Altri saluti. Ogni incontro una carezza a Lei. Ogni carezza a Lei, mi eccita.
Il rumore delle fruste si ferma e lascia lo spazio a quel rumore impercettibile dello sfregamento dei corpi. Alle lingue che giocano quando si incontrano. A risatine di piacere. Mi lascio guidare da Lei. In questo percorso ogni freno si è perso. E mi lascio coinvolgere in mezzo a quei corpi. La mia camicia scompare e mi accordo che attorno a me nessuna è davvero vestita.
La mano si apre. Le dita si infilano fra i peli del pube. Giocano. Solleticano. La mente le immagina fra i peli di un pube altro.
Lei sorride e mi chiede di leccarglieli.
La mano si bagna ancora di più. Mi infilo un dito nella vagina.
Scendo per inginocchiarmi, leccandola con la punta della lingua dal collo sino al pube.
Respirare l’odore del suo corpo. Una mano sulla mia schiena. Non è la sua. Ma mi piace. Un brivido che si aggiunge al brivido del corpo di Lei.
La mia lingua arriva alla sua clitoride. È umida. Scendo. La punta la penetra dolcemente.
Fremo. Mi prende i capelli dietro la nuca. Lì tira. Mi allontana. Mi avvicina. Gioca.
Le mie dita escono e iniziano a toccare la clitoride. Movimenti inconsci. Decisi. Tra sogno e realtà. Si mescolano i respiri e i gemiti. Mi masturbo e sogno di leccargliela. Di accogliere il suo piacere. Sogno altre mani che mi toccano e altre lingue che mi scorrano sul corpo. Sulla clitoride.
Il sogno si fa fantasia consapevole. Lei mi alza, mi gira. Mi lecca il collo. Mi prende da dietro. Mi tocca  la clitoride. Il ritmo è lento. Il tocco è deciso.
Aumenta la velocità. Si ferma. Si abbassa. Me la lecca.
Il mio dito è sempre più veloce. Respiro affannosamente. Ho caldo.
La sua lingua mi penetra. Mi succhia la clitoride. Mani sul seno. Capezzolo mordicchiato.
Vengo. Vengo.
Le guance sono calde. La clitoride pulsa. Piacere totale.
È notte fonda.

Ciao. Ciao. È stato bello. Anche per me. 

Orge di autoerotismo 🔏

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di Fred Franka

Sono in casa, dovrei studiare, leggere, costruire, ma ho solo voglia di scopare.
La mia vagina è calda e eretta. Vado a pisciare, mi accorgo di essere completamente bagnata.

Torno in camera, chiudo bene la porta anche se il timore che qualcuno entri è forte.
Metto la musica, accendo le candele.
Indosso calze a rete, anfibi. La mia vagina si insinua tra le fessure delle calze, le mie cosce -strette- strabordano.
I miei seni, ritti, si affacciano su un corpetto che li lascia scoperti.
Sono bellissima e molto eccitata.
Prendo il lubrificante e con doppia stimolazione inizio a massaggiarmi e a stimolare ano e clitoride. Sono in piedi, appoggiata alla mia parete di piuma soffice.

DYEF

Sento la loro presenza dietro di me.
Attraverso il sogno, non lascerò che se ne vadano.
Mi giro e si masturba di fronte a me. E’ sul letto, mentre mi guarda godere. Io sono fluttuante su una poltrona di velluto. Con le gambe bene aperte, il viso trasformato dall’eccitazione.
Mi stimolo la clitoride mentre mi osserva e si masturba a sua volta. Oddio come godo!
C’è chi arriva a leccarmi mentre continuo a sollecitare la mia vagina e a osservare il ritmo labile e arrapato di chi mi sta di fronte. Vorrebbe venire a leccarmi a sua volta, ma non può. Allora tira fuori la lingua, imitando il gesto, ingelosendosi della fortuna di chi, invece, lo sta facendo. Sto quasi per venire, tanto sono bagnata. mi blocco subito.

DYEF

Indosso il mio strap-on. Una parte la infilo nella mia vagina, l’altra è un dildo più piccolo, pronto a far godere orifizi.
Spalmo molto lubrificante nel suo culo, inizio a leccarlo.
I suoi gemiti mi portano a gridare soffocatamente mentre continuo a leccare. Sento il battito del cuore sulla mia fica e impugno il cazzo di gomma per sentirlo di più. Nel frattempo il suo gemito viene strozzato a sua volta, leccando e masturbando l’altra apparizione. Io inizio a penetrare piano, sento un urlo di gioia..
Continuo un po’ più forte, fino a stabilizzare il ritmo.
Godo all’impazzata, i liquidi del mio corpo inondano il pavimento.Qualche essere inizia a leccarmi il culo, io ho i muscoli vaginali che si stringono, il ritmo, la velocità, il sentire sono al massimo. Un’orgia di estasi e libertà dove godiamo e ci lecchiamo e ci facciamo giurare che quando arriveremo alla destinazione dell’orgasmo, ricominceremo a godere.

DYEF

Sento stimolare la clitoride con le dita spalmate di liquido, il culo leccato in profondità, mentre il dildo mi si sbatte dentro e io vedo e sento godere della mia penetrazione.
Vengo sopra un urlo magistrale, che prende la rincorsa e scopre corde vocali inascoltate. Gli occhi sono al cielo, chiusi; la gola si fa tesa e le vene fuoriescono.
Mi lascio sorprendere in una risata. Lecco tutto prima di stendermi a letto.
Adoro l’odore della mia fica in festa.

Malormone ci legge!

Se volete riascoltare la puntata del 23 maggio 2022 su Radio BlackOut cliccate qui (da 1h 11′ circa). Quelle scompaginate di Malormone leggono A beginners’ learning tool di Kavita Aliene, direttamente dal Vol. I di Hormony.

Una leccata fresca nelle orecchie!
Buon ascolto 🔊

Chiamata alle penne

Fantasie erotiche in realtà improbabili 👽

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Hai bisogno di immaginare mondi che non esistono
per sciogliere le tue fantasie erotiche?

Quando sogni a occhi aperti, pensi a scenari tropicali in cui bagnarti con succo d’ananas oppure di affondare la lingua in gusci di cocco dai capezzoli turgidi?

Ti capita di immaginare storie ambientate nel passato, tra amori selvaggi che sfidano oscure forze medioevali o orge di parrucche settecentesche?

Provi a sollazzarti tra scenari improbabili con figure aliene che godono nell’assenza di gravità su una navicella spaziale?
Pensi che potrebbe essere bello sfidare te stess* nella stesura di uno scritto erotico, nella forma e con il linguaggio che preferisci?

Abbiamo nelle nostre mani un grande potere di sovversione della realtà.
Noi crediamo che liberarlo possa fare molto bene alla nostra salute.

Scrivi un racconto erotico a tema fantastico, in ambientazioni folli, epoche remote o futuri impossibili, con personaggi storici o inventati; che siano la giungla, il triangolo delle Bermuda, Plutone o Atlantide la dimora dei tuoi desideri più frizzanti.

L’unico esplicito invito che facciamo è: SBIZZARRISCITI.

Alla Pam

di Tonuccia

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C’era la fila ma quella tipa era davanti a me di varie posizioni, comunque aveva questo cappotto lungo color del cammello, e questi capelli lunghi neri, color del nero. Forse stava ascoltando della musica perché non si muoveva molto ma ne sentivo il fremito mentre sicuramente pensava alla parmigiana ma si mangiava le unghie dalla malinconia.

Avevo bisogno di vederla, prima che entrasse perché quelle spalle coperte mi davano la tenacia, mi ci perdevo. Lei pensava alla parmigiana ma intanto io non sapevo come raggiungerla. Davanti avevo due studenti fuorisede che parlavano dolcemente di un loro compagno ma in termini sempre volgari. Poi una signora andina. Poi uno che sicuro era un ex tossico e poi lei.

Persone distanze viveri odore di verdure fresche neon. Lei era un po’ il mio rifugio.
Le avrei sorriso da dietro una lattuga iceberg, della cicoria, le struscio la cicoria. Me la immaginavo affilata, irrisolta, insincera, devastante. Le avrei detto vieni e l’avrei portata nel magazzino dietro le tende di plastica grosse e trasparenti e piene di graffi. Tieni guarda ho preso dello zabaione e glielo avrei versato addosso. Poi senti ti va se te lo lecco via? Non te l’ho chiesto prima perché ti sporcavi i vestiti, questo tuo bel cappotto color del cammello e questa tua felpa color dell’alpaca dei monti e queste tue mutande color del lambrusco. Ti dispiace se ti lecco via un po’ di zabaione te n’è rimasto giusto un po’ qui e un po’ qui. E poi scusa ho qui del lambrusco è un po’ caldo lo vuoi? È del colore delle tue mutande e lei sarebbe stata un po’ meno affilata, sicuramente insincera perché come fai a non esserlo in una situazione così perché io comunque posso ispirare fiducia ma è comunque un luogo da cui si accede da un varco con dei teli di plastica, e poi devastante sì ma meno di quanto credessi e irrisolta poi quello sempre ma non mi interessava in quel momento. Guarda ho del lambrusco me lo verso addosso vuoi berlo dalle mia cavità naturali? E lei mi dice sì.

Quanti occhi hai uno dentro l’altro. Mi dice e io le dico sì però quel cono gelato che ti esce dalla fica chi te lo ha messo? E glielo mangio, frantumandolo. Scusa ho fatto un casino. Ora pulisco. Intanto la fila non procede poi lei entra e io aspetto fuori, c’è questa fila lunga quanto tutto il purgatorio. E poi entro ha solo della feta e delle patatine.

Ci guardiamo, è diversa ma i colori corrispondono, del cammello, del nero, dell’alpaca dei monti. Le sorrido senza iceberg perché non mi piace in realtà quindi non la prendo mai. Ciao io ho preso del bagnoschiuma in offerta e questo radicchio sai il radicchio questo sapore amaro tu puoi regalarmi la dolcezza che manca, ma ovviamente non glielo dico perché non sono capace. Quindi poi la seguo con la sguardo e poi le ogni tanto si gira e mi guarda. E io non mi ricordo più il pin.

Chi ha detto Beautyfarm?

👉👉👉 YO! 🤏🤏🤏

Veniteci a trovare venerdì 6 maggio in Beautyfarm a Bologna!

 

 

 

 

 

 

 

Dalle 19 un botto di cose belline e fanzelle e poi musica e poi festa 🥳 

Il tutto nella nuova occupazione di via Zago anche detta Infestazioni anche detta Cesare Ragazzi o Ceasar Boys che dir si voglia..

Succosi dettagli qui!

 

DESIDERIO AL BAROQUE. LA DEA DI SABBIA ED IO

di Cicio

Le avevo appena conosciute, per caso, attraverso un’amica in comune un pomeriggio al parco, alla ricerca di un po’ di verde e fresco dall’arsura del cemento. Erano così diverse dal resto del mondo, da tutte quelle mie frequentazioni così dentro i binari. A guardarla, qualcuna di loro, sentivo di condividerci qualche inconscia affinità; mi sentivo simile, ma senza rivedermici del tutto.
Le guardavo un po’ di traverso, diffidente e molto curiosa allo stesso tempo, non potevo davvero smettere di guardarle. Avevano quel modo di fare duro e tagliente, acuito dai capelli corti o rasati, e a tratti una goffaggine e un sorriso dolci. Pensavo che un po’ ridessero di me, timida e silenziosa. Probabilmente lo stavano facendo, in fondo anche loro avevano curiosità di capire chi io fossi.
La prima ad avvicinarsi a me e presentarmisi, era diversa ancora: da loro, da me. I capelli lunghi e chiari, i movimenti disinvolti, un’espansività gentile, capace di mettermi a mio agio.
<Anche tu delle nostre, stasera al Baroque? >
<No, io non lo conosco, non ne so niente!> Risposi, <Ma vediamo, perché no!>
Ci osservavamo, sfruttando all’ultimo centesimo di secondo, quel tempo massimo oltre il quale uno sguardo intenso diventa invadenza e fissazione. Ci scambiavamo qualche parola e qualche sorriso.
<Allora devi proprio venirci>, rispose lei sorridendo ancora.
I suoi capelli avevano un buon profumo, di tanto in tanto le cadeva sulle spalle nude qualche ciocca dai capelli raccolti. In diverse si avvicinavano per salutarla e ogni volta lei si scusava con me passando la sua mano sulla mia nuca, o sulla mia guancia, sulla mia spalla, con un tocco delicato ma presente. Mi piacevano quelle mani e quello smalto nero sulle unghie leggermente allungate, che ogni tanto, fugacemente, sembravano tastare la morbidezza del mio primo strato di carne graffiandolo appena.
Mi sentivo attratta. Forse soltanto perché era stata la più accogliente ed era riuscita a non farmi sentire a disagio? Visto il suo impegno in altre conversazioni e che la mia amica era sparita, decisi però che era arrivato il momento di andarmene. Lei lo capisce subito, così interrompe la sua conversazione in atto e mi dice: <Dai vieni stasera! Spero di incontrarti al Baroque!> Sorrido, restando impacciata a mezzo metro da lei, e rispondo: <Vediamo! Grazie>.

Arrivata a casa, resto ben due ore a chiedermi che fare, se andarci o no. Sai quante cose puoi fare in 2 ore? Ecco, io avevo fatto solo quello. Ferma immobile sul letto, mi chiedevo che fare. Finché sull’orlo di una crisi, mi alzo di scatto, vado dritta verso la doccia e mi decido. Ci vado. La prospettiva di rimanere a casa da sola nella tristezza della solitudine è peggiore rispetto ad andare in luogo nel quale non conosco nessuna e provare imbarazzo. La mia amica questa sera non ci sarà. Non importa! Male che vada farò come quelle persone che si godono una serata in solitaria al bancone di un bar, non c’è mica nulla di male, no? Nessuna di loro che ci saranno se ne dovrebbe scandalizzare.

Apro l’armadio, non so come vestirmi. Non tanto per avere l’imbarazzo della scelta, quanto piuttosto per avere scelte imbarazzanti. Penso a come le piacerei di più. Si insomma, me lo dovevo ammettere: ci stavo andando nella speranza di incontrare lei! Pantaloncino corto o lungo leggero? Anonima o eccentrica? Black o colorato? Canotta o camicia? Ah! Quante storie. Prendo un pantalone lungo molto leggero, una canotta nera un po’ morbida, e una camicetta leggera sopra nel caso faccia fresco. Matita o no? Ma sì, e anche mascara e un po’ di cera ai capelli. Black, all black, ligia al galateo delle feste serali.
Esco, direzione Baroque!

Arrivo al posto che mi era stato descritto. Effettivamente, in questo quartiere non c’ero mai stata e questo locale non l’avevo mai visto. All’ingresso ci sono due delle tipe intraviste il pomeriggio, di quelle diciamo più simili a me! Una aveva degli stivali da cowboy e un gilet, l’altra la cravatta e una camicia con i fumetti. Le ho guardate e poi ho riguardato me.. certo che forse non siamo così simili in effetti! Guardavo fisso le scarpe davanti a me nella fila con questo pensiero sospeso in testa, provando a dargli risposta. Chissà perché contava così tanto farlo per me.
Finché due tacchi a spillo balzano ai miei occhi! Alzo subito la testa e quei due tacchi mi stampano un timbrino sulla guancia <Goditela sta serata cara!>. Sorrido, varco l’ingresso. Deve aver visto che ero pensierosa.

Ed eccomi catapultata dentro al Baroque.
Ed eccomi catapultata dentro a un altro mondo. La sala è enorme, con luci e faretti da paura, c’è un palco che taglia a metà la sala e un palco enorme sul fondo. Mi sento frastornata dalle luci, dalla molta gente, da persone fatte a ogni modo, vestite a ogni modo, che mi sfrecciano e volteggiano a fianco in botte di entusiasmo. Non conosco nessuna!
Decido di avvicinarmi al bancone del bar. C’è della musica di sottofondo. Prendo un moscow mule. Poi di colpo, come fosse un improvviso blackout, il silenzio, il buio totale. Le circa duecento persone nella sala fanno un boato.
È solo in quel momento di buio totale, che ho pensato che non c’è nemmeno un maschio machio in quella sala! Non credo sia un caso, l’averlo realizzato proprio nel momento di tenebra.
D’un tratto, torce e fontane illuminano il palco e dalla graticcia si srotola un’altalena insieme alla presentatrice, che a quel punto vi si siede in sella, con un completo gessato nero, i tacchi e un basco, e dondolando comincia a parlare: <Signore e signor! Tenetevi forte e preparatevi a scatenare l’inferno. Perché sul nostro palco questa sera, ad aprire lo speciale decimo compleanno del Baroque, ci sarà lei. Speriamo che la sorpresa sia riuscita, così da eccitarvi di più! Lei che tra le troppo poche a questo mondo sanno declinare i palchi anche grossi che non la meritavano, lei questa è sera salirà quassù solo per tutte noi. Ora sì, che l’avrete capito. Solo per noi..
La Dea di sabbia!>

Sale un boato ancora più forte, i piedi cominciano a battere al pavimento facendo vibrare la stanza e le mani ne accompagnano l’ingresso sul palco. Tutte si preparano in pista e avvicinano al palco, un solo faro al centro e in quel corridoio di luce su cui improvvisamente cala il silenzio, compare lei.
Ci cammina dentro, muovendosi verso la mia direzione. È la ragazza gentile del parco! Sono stupita quanto piacevolmente sorpresa di vederla lì. Ecco dov’era!
Ha una parrucca mora adesso, i capelli corti, un abito succinto e dei gioielli di acciaio molto appariscenti. Cammina lungo la scia di luce con una grande scioltezza cinematografica, si avvicina al microfono e comincia a cantare!
Per un attimo ho pensato di avere davanti Amy Winehouse, mi sono venuti i brividi. C’era chi cantava insieme a lei, chi ballava, sola o in coppia, chi l’ammirava e piangeva. È rimasta sul palco per mezz’ora, prolungata dagli applausi e le grida che continuavano a tenerla là sopra.

Poi è uscita, con la stessa scioltezza con la quale era entrata.
Il palco si travestiva di nuovo per accogliere il dj set di Cagna alfa e Pitbull Rabbioso.
Volevo uscire a fumarmi una sigaretta nel cortile sul retro, ma finisco per perdermi nel labirinto di quel posto, che credo un tempo fosse un night club a giudicare dalle postazioni per la pole dance.
Entro in un corridoio <No! Sbagliato!> Ma mentre mi rigiro su me stessa per ritornare indietro, la vedo. Sta in una stanza acchittata a camerino, piena di specchi, abiti e un lungo bancone. Altre due o tre amiche la stanno aiutando a svestirsi, mentre lei mi vede e le interrompe!
<Hei! Allora sei venuta!>.
Mi sento in imbarazzo, non riesco a dirle quanto mi sia piaciuta, quanto mi piaccia. Anche lei è un po’ in imbarazzo, lo noto dalla postura delle spalle un po’ chiuse. Ha ancora addosso vestito e parrucca. Si guarda, mi guarda, ridiamo.
Mi chiede <Senti ma lo vuoi vedere un luogo segreto di questo posto?>
<Bè, con grande piacere!> rispondo io.
<Fammi solo mettere i sandali, perché con i tacchi non ce la faccio più!>.
Annuisco e le porgo un sorso del mio terzo drink in un’ora.
<Andiamo! Ah te le sei prese le sigarette? Perchè non torniamo subito> Mi stupisce la domanda, in effetti è un elemento importante. Ricontrollo e ce le ho. La seguo. Mi porta tra meandri di corridoi e stanze vuote. Finché a un certo punto sale su una scala e apre una botola nel soffitto: <Vieni dai!>.

Sorride. Saliamo su una scala d’emergenza a chiocciola, fino sul tetto del locale: da un lato, la città, dall’altro, le colline. Ci avviciniamo al muretto per guardare di sotto.
<Voilà! Carino, vero?>
<È bellissimo! Grazie di questo regalo>
<Ti sta piacendo il Baroque?>
<Un casino! Mi sento un po’ confusa. Com’è possibile che sia così poco conosciuto? >
<Eheh. È ciò che fa sì che rimanga così speciale in fondo. Credo tu possa capire.. è così?>
<Credo di si..>
Dopo quella risposta, ci guardiamo a lungo, in un intenso silenzio.
<Ma chi sei tu? > mi chiede.
Mi colpiscono le sue domande così dirette! Mi piace.
<Chi vorresti che fossi per questa sera? > Ride, molto divertita..
<Bè, se io sono la Dea di sabbia…> mi avvicina a sé: <Guardami! Tu chi vorresti essere? > Non mi va di sforzarmi a rispondere, non mi viene nessuna risposta geniale, ma penso che in fondo va bene così. Senza toccarla, comincio a disegnare il suo volto. La sento vicina, molto vicina, ma non oso sfiorarla. Avvicino le dita a disegnare le guance, poi il naso, infine le labbra. Gliele sfioro appena.
Lei ad occhi chiusi con un morso rapido mi prende il dito medio nella sua bocca, e comincia a succhiarmelo. Mi sto già bagnando.
Arrotola le bretelle della mia canotta, mi tira un po’ a sé e poi mi allontana. Lei è ancora costretta dentro al suo strettissimo vestito. Mi sto eccitando solo a guardarla. Cerco di capire ciò che desidera. Vorrei farla godere tantissimo. Si gira di spalle, mi prende una mano e l’avvicina alla cerniera. Lo faccio lentamente, in apnea, fino a dove scendo? Fino in fondo. Lei si rigira di fronte a me e dice: <Toglimelo>. Mi faccio più vicina a lei e partendo dalle spalle glielo tolgo, fino a metà busto. Voglio succhiarle i capezzoli nudi e turgidi davanti a me, ma ho timore che il tatto possa rovinare l’atmosfera. Lei mi prende la voglia e la mano e mi porta sulla scaletta d’emergenza, dove appoggia la schiena, apre un po’ le gambe e mi tira a sé, tra le sue gambe. Mi passa la mano tra i capelli, accompagnando con delicatezza la mia bocca ai capezzoli e reclina all’indietro la schiena.
Mi aggrappo ai pioli della scala su cui è poggiata, tenendola tra il mio gomito e bicipite. Le lecco piano i capezzoli duri. Mi sento bagnata e tremula in ogni parte del corpo. La mia fica è rovente, bagnata, morbida, la clitoride turgida. Potrei venire adesso, anche solo guardandola, ma cerco di trattenere ancora il momento e prolungare quello stato d’eccitazione. Mi chiede di girarla di schiena e di darle degli schiaffi su fianchi e cosce. Mano a mano che aumento l’intensità, i suoi gemiti di eccitazione aumentano, si contorce e rotola verticale sulla scala, mezza vestita e mezza nuda. Mentre io, ancora del tutto vestita, possiedo i suoi fianchi contro il mio ventre. Si rigira, mentre mi guarda negli occhi, mi prende la mano e la porta tra le sue gambe per farmi sentire quanto è eccitata.
Sto affondando. La stringo tutta con ogni parte del mio corpo, anche con i denti. Le dico che sto per venire. Vuole questo. Vuole farmi impazzire. Mi toglie la mano da in mezzo le sue gambe e mi avvinghia a sè ora, sussurrandomi all’orecchio: <Lasciati andare tesoro, vieni. Vieni tesoro. Vieni con me, vieni qui dentro di me >
Sono esplosa in un piacere che non ho mai provato prima con questa intensità. Mi sono bagnata al punto da sentire le gocce di piacere scendere fino alla caviglia e le gambe hanno continuato a tremare per un po’, mentre lei sospirava dei prolungati e soddisfatti <Si>.
Alzo lo sguardo, lentamente, la guardo negli occhi e mi getto nuovamente tra le sue tette. Ci sorridiamo.

<Ora scenderemo e la Dea di sabbia si trasformerà, tesoro>
Non ci avevo pensato fino a quel momento.. annuisco.
Si riveste, scendiamo. Incontriamo al piano terra un gruppo folto di persone che si sposta per un altro dj set. La perdo tra loro. La Dea di sabbia è svanita.
Dopo un po’ decido di terminare la mia serata e tornare a casa. In lontananza vedo lei con le sue amiche, la ragazza carina del pomeriggio. Mi saluta calorosamente da lontano. I lineamenti somigliano molto a quelli della Dea di sabbia. Cioè, sono proprio quelli! Eppure non è lei, è diversa, è un’altra.
Voglio ritrovarla su quella scala, voglio ritrovare quel desiderio che non avevo mai provato prima. Voglio le sue mani chiedermi decise e delicate cosa fare e assecondare la sua eccitazione. Mi chiedo se sarà mai possibile incontrarla di nuovo. O se non sia stato che un miraggio, già scomparso nel deserto e nei ricordi di questa speciale prima serata al Baroque.
Mi chiedo se lei, se lo sia già scordata.

Hormony @ Borda Fest


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Evangeli erœtici

di Lumachina

Acqua, per sciogliersi Jin aveva bisogno di acqua: di onde da dominare, del vento possente, dei delfini che danno il buon risveglio al mattino. E poi, solo solcando il mare poteva raggiungere le isole paludose dove, tra i chicchi di riso, la carta trovava la protezione da umidità e censure.
Carta di papiro, di corteccia, di cotone; carta sottile, filigranata, spessa; carta per tempere, inchiostro, grafite. Per immaginare orizzonti, tramandare memorie, mandare un messaggio.
Le carte di cui maggiormente si occupava Jin non erano di carta, ma di cuoio impresso di numeri e simboli. Le bastavano quelle carte di pelle per leggere storie. d’altronde non avrebbe potuto fare altrimenti: la carta dei libri non trova ambiente favorevole su un gozzo: tra gli schizzi di spuma ed i ratti che si insinuano ovunque e rodono tutto. Gli unici tomi che non soffrono il mare sono Evangeli, che però non sono facili da leggere. Senza le Carte con cui navigarli si annega in un mare di menzogne, ma quando la pelle da i numeri, può vedere la verità.

Chiaramente non tutte le pelli. Conciata col culto di Diana: pelle sottile, lavorata di fino: cacciata di fino, spolpata di fino, lavata di fino, seccata di fino, intatta fino alla fine. Poi impressa con forza dal fuoco di un numero, un simbolo, una lettera, un segreto.
Non i numeri per interpretare Evangeli ma ogni Evangelo legenda dei numeri.
Le domande che si pongono ai numeri sono incommensurabili.
Quella originale e generatrice: Come ha fatto Eva a procreare Adamo.
La domanda originale aveva mille Perché. Le carte sembravano l’unico modo per rispondere all’affermazione di Dio. proteggendosi con la propria stessa maledizione: l’interrogativo. Perché?
Perché la risposta non è mai definitiva.

Jin accarezzava le sue carte, ne massaggiava la consistenza, sentendo la pelle ammorbidirsi sotto i polpastrelli, nel calore delle palme tra i rivoli delle linee della mano.
Jin massaggiava le carte e respirava lenta, poi un respiro profondo, le carte sul tavolo, l’Evangelo aperto, la luce del sole schiariva le pagine macchiate da muffe. L’inebriante profumo di libro. Le carte di cuoio parlavano attraverso quelle pagine.

Evangelo secondo Maria e Maddalena.

Maria lasciava freddare l’infuso di foglie mentre scioglieva dell’altro miele nello sciroppo.
Aspettava qualcuno, ma chi? Un sentore l’aveva svegliata al mattino. L’assenza di nodi al fazzoletto la rassicurava che a parlarle fosse l’intuito e non una dimenticanza.
Si aspettava qualcuno, senza sapere chi aspettare, eppure sapeva che nel momento esatto in cui lo sciroppo si mescolava all’infuso di latte caprino, qualcuno varcava la soglia.
“Maddalena, non ti aspettavo” in effetti Maria non se lo aspettava, ma era proprio lei che le ronzava in testa dal mattino, il suo cuore infatti aveva per un istante smesso di battere, come per far scoccare l’ora tanto attesa.
Le porse la caraffa e la invitò ad accompagnarla sulla cima del monte. Poi prese un cesto e aggiunse
“I fichi sono maturi, straripanti di dolcezza, aspettano solo una bocca che li addenti. Ne raccoglieremo un po’ per Isa e Yusuf”
Le due si incamminarono lungo il sentiero sulla collina. Restarono mute a lungo. Le parole sono un bene prezioso per chi cammina in salita e non vanno sprecate. Il sole di fine estate si era placato e illuminava il cielo tiepido, la brezza accarezzava la pelle e i capelli delle due donne.
Maddalena poi interruppe il silenzio. Chiese a Maria di seguirla verso un raduno di alberi, i cui frutti così dolci attiravano moltissimi uccelli.
Maria la segui senza un fiato, nonostante avesse diverse domande. Non si pentì di non averle poste perché una volta arrivata queste si risposero senza neanche essere pronunciate.
Il canto scomposto dei passeri si propagava di ramo in foglia fino ai frutti, quasi tutti bucati da becchi golosi.
“I fichi migliori non sono prede per uccelli” parlò Maddalena accovacciandosi in terra “i frutti colpiti dal sole più caldo, caduti al suolo… appassiti troppo in fretta, racchiudono al loro interno tutta la luce del sole cocente. Gli stolti li disdegnano: non capiscono un fico secco.”
Maria osservava Maddalena mangiare i fichi da terra, e dal suo sorriso facevano capolino i denti, ogni tanto le veniva da ridere, ma pronunciava davvero poche parole. Maddalena compensava parlando per entrambe.
Maddalena era giovane, Maria non lo era molto meno, ma le loro vite avevano preso strade diverse…
Non poi così tanto, in fondo facevano lo stesso mestiere. L’unico mestiere delle donne povere.
Eppure la puttana c’è tanti modi di farla.
Maria aveva partorito Isa, che ormai era grande e cercava altri seni che non fossero materni, quelli della Maddalena erano i suoi favoriti.

“Come sta Isa?” chiese Maria mentre mangiava un fico seduta sul prato, con gli occhi verso il sole che lentamente cambiava colore. Maddalena fissava i capelli cenere di Maria che le coprivano gli occhi, così non trovando il suo sguardo, cercò anche lei l’orizzonte. leggermente contrariata le chiese perché, fra tutte le domande che poteva porle, le aveva domandato proprio della sua stessa prole?, per un breve istante le due trovarono gli occhi dell’altra, poi Maddalena aggiunse “In più lo sai già” distogliendo di nuovo lo sguardo dagli occhi chiari di Maria sbucciava un fico maturo. La pelle era viola e sottile.
“Isa mi ha difesa, lì dove lavoro, mentre me la sbrigavo con un paio di clienti morosi. Isa ha visto la scena e sentendosi Dio in terra ha creduto avessi bisogno delle sue parole, del suo corpo, che mi proteggessero dagli insulti di chi mi chiamava puttana.
Ho dovuto mettere in chiaro che nessuno mi difende, e che non vorrei che qualcuno vedendoci pensasse che io abbia bisogno di protezione, in più non mi aiuterebbe se la cercassi in giovani incoscienti come chi ti chiama Madre, Maria.”
Le ultime parole taglienti sul conto del frutto del suo seme le misero leggera ilarità, e così chiese a Maddalena: “Mi stai dicendo che Isa è troppo debole per te?”
Maddalena sbuffò un sorriso: “non centri il punto” le disse premendole leggermente con il polpastrello indice sulla fronte, come per segnare il centro del punto, o per passarglielo per via telepatica, con gli occhi di una in quelli dell’altra finalmente per più di un solo battito.
Fu Maddalena stessa a non reggere più gli occhi di Maria, e la sua bocca riprese il fiume di parole.
“Non credo che potrei mai fidarmi di chi mi protegge senza il mio consenso, ora i miei morosi useranno la nuova clientela fidelizzata per telarsela senza rimettere a me i miei debiti, come io li rimetto ai miei debitori. Tu Maria, conosci bene la sventure della protezione”
Lo sguardo di Maria si distolse dal viso espressivo di Maddalena “non sai di cosa parli” disse con un fiato tra l’addolorato e il risentito
Maddalena era giovane e non credeva nella virtù della temperanza e moderazione. Non tratteneva il suo desiderio e quasi mai si mordeva la lingua.
Sferrava colpi senza tregua fino a che non fosse implorata a piene mani. La schiena rivolta di Maria non bastava a farla tacere, così Maddalena si alzò e si accovacciò ai piedi dell’altra alla ricerca dei suoi occhi, una volta trovati, con voce melliflua ma categorica, continuò.
“perché continui a raccontarti parabole sul tuo conto e non ascolti un po’ il tuo corpo?
Yusuf non ti rende felice, questo non è qualcosa che ti è allo scuro, ma allora cosa ti blocca dal mettere in chiaro che non ne è neanche ciò ci cui hai bisogno?”

La mano di Maddalena si poggiava con fermezza titubante sul piede di Maria. il sandalo le si era già sfilato da se, così Maddalena poteva accogliere il calcagno nel suo palmo, lasciando che le nocche si arrampicassero lungo la caviglia. Non più accovacciata, ma poggiata sul gomito, quasi stesa, sbirciava gli occhi socchiusi di Maria, attraverso le palpebre traspirava la goduria per quel massaggio che si spostava alle dita e al dorso del piede.
ammorbidendo la pungenza delle sue parole con la generosità dei suoi massaggi, la voce di Maddalena continuava imperterrita, quasi sadica, come una goccia che scava la pietra. Sosteneva che Yusuf aveva rapito Maria, stregandola con il suo fare da mago l’aveva portata in viaggio e l’aveva poi legata a lui per sempre convincendola che per sopravvivere una madre ha bisogno di un padre, una donna di un marito, una puttana di un protettore.
Maria avrebbe voluto controbattere, ma la sua mente si perdeva nelle dita che le danzavano su per il polpaccio e poi nel cavo dietro al ginocchio. Avrebbe voluto negare che yusuf l avesse stregata, ma al momento a stregarla erano le mani prostitute della favorita di Isa.
Poi Madre Maria deglutì in un sol sorso tutta la libido accumulata, quindi si levò seduta, ritraendo solo in parte i piedi dalle mani poetesse dell’altra, e con una freddezza fasulla disse “sei molto indisponente a parlarmi così, potrei essere tua madre”
Maddalena la mora strabuzzò gli occhi, incapace a credere alle proprie orecchie. Ma di risposta le pizzicò le dita dei piedi.
“Maria, Amica mia” la beffeggiava “mi ricordo di te da quando sono nata e a quei tempi eri poco più di una bambina, dagli occhi cerulei e cosce morbide”
“Una bambina dalle cosce morbide e sporche di sangue troppo presto. Sono stata la prima mestruata, non avevo neanche dieci anni…”. Maria si perse nella memoria di un infanzia troppo breve domandandosi se fosse possibile per lei godersi una lunga gioventù, senza invecchiare precocemente. Poi vide Maddalena, le sue labbra spaccate come la buccia di un fico maturo, i capelli legati in una treccia serpentina che sembrava divincolarsi da sola dal laccio che la chiudeva. continuò nel ripercorrere i passi che le separavano “ a tredici anni ero madre, e tu, cara Maddalena, hai mestruato che il sangue del mio sangue già parlava”
“tu, Maria, hai partorito prima ancora di fare l’amore” la incalzava la perseverante Maddalena, che non lascia la preda fino a che non è sfinita. “Yusuf ti ha stregata, Yusuf ti ha mentito, ti ha fatto credere che le donne non godono”
“Yusuf mi ha salvata da un mondo di lupi”
“Dimmi la differenza tra un lupo e un cane da guardia, se non che il primo almeno non fa finta di esserti alleato”
“L’alleanza non può esistere senza fiducia, la fiducia si crea con il tempo, con dedizione alla condivisione, sacrificando talvolta la felicità alla Creazione, propria creazione, nata dall’unione di animi e corpi che necessitano l’uno dell’altro nella ricerca del divino . Non conoscerai mai il sapore dell’amore se non sarai disposta a liberarti della tua fierezza ” controbatteva Madre Maria, piena di grazia, e il Signore con lei.
“L’amore non dovrebbe essere un’àncora, ma una vela!”
Maddalena era giovane e infervorata, e tanta smania di confronto aveva acceso l’animo anche della flemmatica amica. Le duellanti si affrontarono cercando ognuna di portare acqua al proprio mulino, ma dopo qualche battuta Maria gettò la spugna.
“Ho capito la tua posizione, ma perché non riesci ad accettare che scelte diverse dalle tue possano essere fatte con la stessa convinzione che hai tu, e non per errore o passività?”
“perché non posso sopportare di vederti intrappolata nel ruolo di Madre e di Moglie” disse d’un fiato la giovane Maddalena
“Perché?” Maria aveva ritirato i piedi e con le gambe rannicchiate e la schiena dritta fronteggiava Maddalena, la quale, accovacciata sulle punte dei piedi, protesa verso Maria, si reggeva in equilibrio poggiandosi leggermente alle ginocchia dell’amica. Maddalena accettò lo sguardo di Maria ma non aveva parole al momento per rispondere a quel perché. A Maddalena bastava un solo Perché per questionare l’intero universo, allora per non dire la cosa sbagliata si spinse sulle sue labbra e le baciò.
Il corpo di Maria era immobile, cadaverico. Anche Maddalena si sentì gelare. Era in bilico e le sue ginocchia poggiavano adesso su quelle di Maria, le loro mani si toccavano. Il tempo era come ghiacciato, mentre in Maddalena ribolliva il rimorso. Come aveva potuto superare la soglia? non avrebbe dovuto baciarla.
Doveva rapidamente staccare le sue labbra da quella della madre dell’amante più gentile che aveva e fuggire, magari salire su un albero e diventare un uccello, per volare via da quell’imbarazzo per sempre. Eppure mentre provò a spiccare il volo le labbra di Maria fecero una sommessa opposizione, socchiudendosi, come a dire “resta qui”.

Un istante, due, tre, quattro.. labbra socchiuse, l’inspiro di una espirato dall’altra, un aria calda fluiva tra le loro labbra, Maddalena spostò una mano per poggiarla sulla guancia tonda di Maria. Quello spostamento di peso mosso dal desiderio spostò l’equilibrio dei corpi e Maddalena improvvisamente cascò su Maria, quello scossone fece di colpo ripartire il tempo sospeso.
anche il loro bacio si levò dal torpore e sghignazzando sveglio anche le lingue che iniziarono a muoversi fra i denti, insinuandosi fuori dalla bocca. Maria finalmente leccava le labbra secche e dolci della giovane Maddalena, per poi addentarle, come fossero il frutto proibito. La passione come un uragano turbinava tra i corpi che si spogliavano e la carne si bagnava di piacere.

Il cesto di fichi si era rovesciato, e giaceva lì vuoto, con loro.

Effetti secondari ✏️

Illustrazione di perla tempesta

 

di María Castrejón
da Relatos marranos. Antología (D-fracciones)
Pol·len Edicions

[traduzione a cura di Hormony]

 

 

 

Mi masturbo da due ore; questo è lavoro, gente. I video sono corti e ogni tre minuti devo sceglierne un altro che mi faccia bagnare. Ho provato tutte le categorie. Risultato: clitoride irritata e dolor di polso. Non è la prima volta che mi succede e non ho potuto fare e meno di commentarlo con le mie amicizie. “Nooo! Che merda!”. So che mi capiscono.

Due settimane prima:
– Non ci piace mettere etichette. Però, rispetto alla relazione che dovrai presentare alla Commissione medica, il disturbo in cui ti si dovrebbe collocare è DBP.

Mi sembra una televendita, o una rivista di programmazione televisiva, però, a quanto pare, è invece una cosa abbastanza seria e mi cambiano le medicine. Mi prescrivono, oltre a tutta la merda che già prendo per non uccidermi, un antimpulsivo. Mi toglierà la fame, gli impulsi suicidi e sessuali. Ovviamente, non posso bere con le medicine. Grandioso!

– Tutti i farmaci hanno degli effetti collaterali. Alla fine tra i mali, è il male minore.

Il male minore. Non so cosa ci sia di male nel morire, ma tutti vanno in agitazione se decidi di farlo. Quasi come quando decidi di mettere al mondo un figlio, ma al contrario.

Comincio a prendere le pasticche perché la gente non vuole che io muoia. Credono che non sia una buona idea. Comincio anche a riempire milioni di scartoffie perché mi riconoscano una disabilità. Cioè, pur di non pagare la metro, che mi sembra un furto. C’è chi nell’ospedale psichiatrico dice che si sente male per il fatto di essere disabile. Manco per scherzo. Se è tutta la vita che sono pazza e non posso bere né aver voglia di scopare che almeno mi diano della grana. E’ il minimo. Questo sì che sarebbe un risarcimento, anche se non so quanta grana dovrebbero darmi per compensare questi effetti collaterali.

Una delle mie amicizie, oggi la migliore, mi ha portato un regalo. Tutto ben impacchettato e carino che mi ha comprato da Los Placeres de Lola; vediamo se davvero riesco a raggiungere gli stessi piaceri di suddetta Lola. Lo apro con ansia e attenzione. E’ un vibratore con telecomando. Dice che si può usare negli incontri tra ex alunni. Non sapevo che ci fosse gente che si blocca in queste situazioni, anche se non mi farebbe per niente strano. C’è anche una perlina rugosa di silicone per offrire un piacere maggiore. Il mio amico sa come farmi felice. Parliamo un po’, io quasi non lo ascolto mentre desidero tornare a casa a provare il mio nuovo amichetto e, ovviamente, esce fuori la questione dell’ospedale psichiatrico che mi abbassa un po’ la libido, anche se ci sono alcune terapie… Alla fine, lo ringrazio per il regalo, gli dico che gli voglio un gran bene e esco spedita verso casa.

Il piccolo vibratore ha dieci programmi differenti che si disegnano sul telecomando tipo uno skyline. Fico. Viene con un tubetto di lubrificante, ma non ne ho bisogno. Voglio provarlo. Lo affondo nella mia vagina facilmente e decido di prendermela con calma.

  • Slow n’ steady: dai, lento e regolare. Niente di nuovo.
  • Medium n’ steady: un po’ di più…
  • Fast n’ steady: già un’altra cosa.
  • Escalating: non devo aggiungere altro, no? Piacevole.
  • Multi-escalating: multipiacevole.
  • Pulsating.
  • Multi-pulsating.
  • Multi-pulse plus.
  • Repeating pulse.
  • Repeat escalation.

Già lo vedo com’è: multi, plus, repeat. E’ tutto più o meno uguale, ma con l’effetto sorpresa, anche se alla decima volta già ci ho preso la mano, ci sto pure prendendo il vizio.

Apro la pagina che qualche giorno fa non mi ha dato risultati. Vediamo se adesso con i multi e i repeat ottengo qualcosa. Il primo problema in cui mi imbatto è che con una mano devo usare il mouse e con l’altra il telecomando del vibratore. Le cose si complicano e non riesco a concentrarmi. Lo metto in modalità cinque e scelgo un video di sesso in pubblico. Dura tre minuti e cinquantasette secondi. Qualche tempo fa mi sarebbe bastato e avanzato. Sono solo effetti collaterali. Multi-escalating sei la mia ultima speranza…

Dopo un’ora e mezza raggiungo il mio obiettivo. Non so dopo quanti video né quanti skyline, però chiamo il mio amico con le lacrime agli occhi. Mi dice che sono soldi ben spesi. La pallottola – si chiama così, bullet – continua a vibrare dentro di me. E io con lei. Sono così felice che decido di scendere al Mercadona senza toglierla. In modalità I. Mentre salgo le scale che attraversano il parco noto la lieve vibrazione e il contatto dell’aggeggio nero con le pareti della mia vagina. Sulla spalla ho la borsa per la spesa, pure lei nera, e nella tasca dei pantaloni corti il telecomando nel caso le cose si mettessero bene. Incrocio persone in strada e mi immagino a fare sesso in pubblico con alcune di loro. Categoria: “sesso in pubblico con DBP con vibratore con telecomando che si può portare agli incontri per ex alunni” o “sesso in pubblico con disabile che cerca di alleviare gli effetti collaterali”, e già che ci siamo un sussidio.

Entro al supermercato e guardo cassier* e magazzinier*. Non mi sono mai piaciute le uniformi, ma oggi è un giorno speciale. Quella cassiera alta e corpulenta che sta sistemando le pesche sciroppate senza zuccheri aggiunti ha un suo perché. Non mi rendo conto di guardarla in maniera spudorata fino a che non mi chiede se ho bisogno di qualcosa. Non so bene che dire, ma di fronte a lei tiro fuori il telecomando dalla tasca e metto il vibratore in modalità sei. Le sorrido e lei fa una strana smorfia. Me la immagino nuda piena di sciroppo e con il telecomando in mano. Anche io sono nuda nella zona yogurt. L’esposizione al freddo mi fa accaldare tremendamente. So che usa solo i numeri pari mentre si avvicina verso di me con una mousse al cioccolato e me la spalma rudemente sulla bocca e sui capezzoli. Uno dei suoi colleghi si avvicina. Lei gli bisbiglia qualcosa e ridono. Io ho freddo, ma sono troppo eccitata e ho le gambe che vacillano. Lui si avvicina e comincia a leccarmi i capezzoli mentre lei mi fa mangiare yogurt al cioccolato e usa, alternativamente, i numeri pari. Ora tocca a lui riempirmi la fica di cioccolato mentre lei mi bacia e passa ai dispari. Io sono pronta. Mi lascio trasportare e cado sulle gelatine alla coca-cola. Il ragazzo mi lecca la fica e lei le tette. Parlano tra loro, ma io non capisco niente. Cerco solo di indovinare ogni movimento. Sono sicura che sto per venire. Lei mi lascia le mani. Quindi apro gli occhi e la cassiera mi dice:
– Vuole una busta?
– SÌÌÌÌ!
– Ha la macchina nel parcheggio?
– Cristo, SÌÌÌÌ! (Non ho la macchina né niente. Sono venuta a piedi per il parco con il mio carrellino)
– Ok, va bene.

Il giorno seguente torno all’ospedale a “curarmi”. Sì certo, non dimentico di introdurre il mio bullet. L’équipe terapeutica, composta da donne bellissime, oggi è tutta un’altra storia; così come i miei compagni, le guardie… Penso di metterlo anche il giorno in cui presenterò i fogli della malattia. Che bello avere amic*.

Magari 🔏

di Una

Mi occupo delle piante di un casolare su un’altura in campagna. In cambio di vitto e alloggio e di un modesto stipendio, curo il giardino e coltivo l’orto. Lavorare la terra mi appaga e se scendo l’impervia scaletta arrivo dritta sugli scogli.
La mia risposta all’isolamento forzato è stata la masturbazione senza ritegno.
Le uniche regole con pochissime eccezioni sono state l’assenza di video e il solo uso delle mani nude. Non me lo sono imposta, è venuto da sé e il risultato è stata la conoscenza di me potenziali che non sapevo di poter essere, viaggi sconfinati in luoghi squallidi o del cuore e in moltissime zone intermedie e l’incontro più o meno casuale con tante partner occasionali e qualche compagna di vita. Ho allenato così tanto dita, polsi e fantasia che so dove recarmi e con chi a seconda dello stato emotivo in cui mi trovo o delle circostanze. Credo di star scivolando nella follia e nella dipendenza da orgasmi, ma magari, finita ‘sta reclusione riuscirò a convincere la mia mente ad essere produttiva al posto mio così da avere la casa in ordine e i soldi che mi permetteranno di essere folle senza beghe.

Tez

Oggi i miei dirimpettai fanno l’amore più forte del solito, la vicina militante in un’accorata chat a volume altissimo indaga le forme più attuali di solidarietà di quartiere. Di sotto un’adolescente piange al telefono, mentre i suoi fratellini sbattono la palla su tutti i muri facendo scapocciare delle voci adulte. Il sole caldissimo fa sembrare quello che ormai è il Fuori incantevole e il mio stretto monolocale una fornace punitiva e sì, tutto questo mi eccita. Ormai è inequivocabilmente la mia risposta. L’opprimente senso d’impotenza si trasforma in un’eccitazione smisurata.
Così anche oggi mi ritrovo a potare le rose al casolare. Anche se non è inverno. Mi butto sul letto bocconi magari per il sale solo la maglietta addosso. Appoggio la mano destra a conca tra le cosce. È calda e mi agguanta dal pube fin sopra il buco in attesa. La mamma e la figlia minore mi salutano sorridenti dalla terrazza. Lei non c’è. Ovviamente ho conosciuto ognuna delle mie datrici di lavoro, nonché proprietarie e abitanti della casa, in modo assai approfondito ed ho grazie a loro placato presunti complessi edipico elettrici ipotetici e impersonato versioni disparate di simil Cain* e Abel*. Anche a puntate. Anche più episodi durante il giorno. Lei è la figlia e sorella maggiore, è mia coetanea e mi piace da impazzire. magari porto uno spuntino. Le saluto calorosamente e faccio un po’ la pagliaccia. Finisco di sistemare il roseto. Sono sudata. Ho mani e faccia sporchi di terra e rametti spinosi nei capelli aggrovigliati. Scendo per la nuotata di fine lavoro. Lascio i vestiti sulla costa dura e deserta e mi tuffo. L’acqua fredda mi indurisce i capezzoli e la mia pelle rinvigorisce. Le mie dita tutte e il palmo stanno ben attenti a toccare il più possibile della mia fregna che piano piano si rilassa e si espande. Il fresco dell’acqua sulla mia fica accaldata mi fa eccitare oltremodo e io vorrei scoparmi il mare per sbollire questo calore che continua a crescermi in mano. Mi si palesa davanti agli occhi chiusi l’idea della tua faccia che mi guarda seria e che poi si apre in un sorriso che porta la mia mano a muoversi, ma voglio restarci in questa fantasia marina e così non ci metto troppa pressione e inizio a girare in tondo. Consumo le mie bracciate poi mi isso sugli scogli. magari un film? Ha messo l’asciugamano accanto al mio. Non c’è nessun altro. Anche lei è nuda e mi fissa.
Sono gocciolante e fresca e la mia passerotta è turgida, vorrei premerla forte come faccio nel mio letto intensificando il girotondo. Uso le dita passando dalle grandi labbra alle piccole e giro, giro in tondo.
Mi avvicino.
Mi fisso lì in piedi, proprio davanti a lei.
Distesa, poggia sugli avambracci.
La guardo.
Mi guarda e allarga le gambe mostrandomi la sua vulva aperta.
E io m’inginocchio.
Cado su me stessa.

Tez

Il medio preme lungo il prepuzio della clitoride e ne scopre un po’ il glande.
Con le mani salmastre e umide le risalgo le gambe decisa e, attraccata alle sue cosce avvicino la faccia ad alcune delle sue labbra e ne respiro a fondo. La sfioro: col naso, un po’ di labbra socchiuse. Trovo un lago, sì proprio come questo che ho tra le lenzuola. Metto la mano sinistra sul pube e la uso per distendere le grandi labbra.
Un bacio sottile.
Lei mi si preme in faccia.
Allora la lecco
tanto.
A fondo.
La succhio avanti e indietro. Vado su e giù. Forte e poi meno. Non so decidermi, voglio solo pomiciare con la sua passera.
Lei mi stringe a sé con i polpacci e poi coi piedi mi spinge via.
Pianta le sue pupille nelle mie.
Scopami
Dici.
Il mio sguardo non sa dove nascondersi. Dentro di te sarebbe un buon posto.
Mi sfidi a non darti retta toccandoti la pancia per poi rigirarti tra pollice e indice quel capezzolo sinistro che lo sai che mi fa andare in confusione. Lo sfiori, piano e non. Così, come non t’interessasse affatto l’incendio che mi provochi nel cranio.
Scopami ti dico
E io sto lì stupida e impotente e con le fottute fiamme in testa.
Ti metti a sedere.
Mi braccano i tuoi occhi
e con la punta della lingua mi lecchi le labbra nel mezzo lentamente, in verticale.
Sento lo stridìo dei miei freni inibitori che si spezzano.
Ti piace sconfiggere la mia paura di perdere il controllo, sai come farla crollare.
Mi strusci la pelle del tuo seno sulla faccia e poi prendi il mio tra le labbra e con i denti.
Ti distendo
Ti salgo sopra a gambe larghe.
Ci baciamo profondamente e sento la tua saliva e i tuoi denti e ti bacio il collo.
Ci stringiamo le braccia e i capelli.
Respiro nel tuo orecchio e ti si apre un po’ la bocca e io non la smetto di aggrapparmi ai tuoi fianchi.
In camera mia mi tocco duro, mi spando addosso i succhi della mia topa mentre spingo a vanti e indietro contraendo le natiche.
Voglio venire con te
mi fai e io appiccico la mia fica alla tua. Entrambe bagnatissime ci spingiamo l’una nell’altra e siamo così eccitate e fradice che le dita sinistre ora premono e girano in senso contrario alle destre sempre più intensamente. Allento, rimandando la fine del godimento che mi sta riempendo ogni parte del corpo
lei che mi fissa
le sue sopracciglia contratte, tutto il corpo teso e le dita che non si fermano e io e te che ci fissiamo e stiamo venendo e anch’io e mi sembra d’inondare tutto e non smettono le contrazioni che continuo ad assecondare con le mani.
Sono un bagno di sudore e liquidi.
Mi faccio la doccia.
Magari sembro scema..
Salgo le scalette del palazzo accanto.
“Ciao! Sto qui accanto. Hai del sale? Visto che immaginavo di sì ti ho portato questo e puoi mangiarlo pure se il sale non c’è l’hai. Sentivo i tuoi discorsi e pensavo che potremmo guardare insieme “We want it all”, che da sola procrastino. ”Attuare solidarietà tra vicine sarebbe piacevole per me e magari mi aiuterà a zompare fuori da questa solitudine che mi sta alienando tantissimo.

A quattro mani  🔏

di La Faglia

– Ieri ho trovato questo libro. Ho cominciato a sfogliarlo, finché a un certo punto del racconto due persone si trovano su un treno, dentro la cabina di un vagone, una a fianco all’altra. Sentono un brivido anche solo nello sfiorarsi, che si fa sempre più esplicito fino al punto da sentire un’irrefrenabile voglia di toccarsi, di entrare dentro i vestiti l’uno dell’altra. Leggerlo ha cominciato a eccitarmi e dentro di me è partita tutta una fantasia.. Scusa, forse mi dovrei fermare. 

– No no continua. La vorrei sentire la tua fantasia, se ne hai voglia

– Ne ho voglia, di raccontartela, è solo un po’ strano. 

Lo faccio, ma in qualsiasi momento fermami se sto andando oltre

– Ho voglia di leggerti, di sentirti

– La mia fantasia si muove dentro una piccola barca a remi sul fiume, fa molto caldo, molte vibrazioni, altrettanto silenzio e alcuni sguardi intensi

– Ti seguo. Gli sguardi sembrano toccare la pelle

– Il silenzio è rotto da una voce un po’ bassa e mossa di lei che le dice: “vorrei fermarmi qualche ora in quella piccola insenatura. Insieme a te”. Lei si imbarazza, prova a rispondere mascherandolo, ma sente salire la temperatura e con la voce udibilmente rotta che ostenta freddezza dice che può vedere se è possibile legare la barchetta lì vicino.

Schiude le gambe e comincia a rilassare le spalle.

Sente che con grande delicatezza le si sta sedendo dietro la schiena, sente il suo respiro accaldarle il collo e l’orecchio. Quindi si lascia andare, molla i remi,chiude gli occhi e si abbandona al petto e tra le braccia di lei che le sta dietro, sempre di spalle, come si fa da bambini nel gioco del trenino.

Le punta delle dita scivolano con delicatezza lungo le cosce, avanti e indietro. E piano piano scendono verso l interno coscia, ma sfiorano appena.

Risalgono dall’ombelico, fino a sfiorare i capezzoli.

Lei comincia a muoversi in mezzo alle cosce tra le quali è seduta che la stringono sempre più. Si aggrappa con le mani a braccia larghe alle sponde della barchetta e comincia a gemere.

Sui suoi capezzoli sente un’eccitazione intensa, quasi commossa. Vorrebbe sentirsi toccare ovunque adesso. Vorrebbe la sua lingua al centro del suo piacere.

Continua tu

– Le mani da dietro iniziano piano a sbottonare i pantaloncini di lei, per sussurrarle dolcemente nell’orecchio “posso?”. Lei risponde che forse qualcuno potrebbe vederle, ma l’altra risponde che non passa mai nessuno da lì, l’insenatura è troppo nascosta. La vede sfilarsi tutti i vestiti mentre sono ancora l’una dietro l’altra, vederla così la eccita molto e lascia scorrere lo sguardo su ogni punto della pelle man mano che questa si scopre, passandovi le mani, carezzandola piano. Lei dietro si sfila la maglia da sé mentre sente sopraggiungere le mani che le afferrano tutto, pantaloni e slip, e sfilano via, non con pochi movimenti goffi di lei, per cui sorridono insieme. I corpi riprendono la danza, come se non l’avessero mai lasciata solo che ora tutto è amplificato, i corpi si sentono, si sfiorano, si scivolano addosso, sono accaldati, cominciano proprio a sudare. I movimenti e le onde che essi compongono diventano un unico mare, attraversato da respiri profondi ma che si fanno sempre più serrati. Il sole è ancora caldo. Le schiene diventano archi, i capelli di lei, mentre si volta, sfiorano il viso che le sta dietro, mentre il respiro da dietro incalza e quello davanti attrae, si incontrano, in un tumulto di fiati. La mano che la cinge da dietro ora la stringe più forte, la pressione che fa con le dita tra le cosce si fa più profonda, poi le dita diventano un palmo.. ci vuole una minuscola pausa. Il palmo della mano passa su ogni tremito, passa ora nell’incavo dell’inguine, per scorrere leggera sui peli umidi e sfiorare la clitoride. Tutto molto lentamente. Trova un sussulto improvviso e un gemito nella voce. E scorre ancora di là, nell’altro incavo. Vorrebbe avere la lingua proprio lí, mentre la lingua è quassù e le loro bocche umide si sfiorano per la prima volta ora. E non aspettava altro. L’attesa aveva reso quelle labbra una fonte preziosa, lei da dietro sente una voglia di baciarla come se avesse sete, mentre i loro corpi si muovono di nuovo su e giù, a un ritmo armonico prima lento, poi più forte, in una danza scandita dal loro piacere, che si amplifica in ogni punto in cui i due corpi si toccano. Le loro bocche iniziano a giocare, saltare, mordersi appena. Non riescono a prendersi e così giocano a rincorrersi, i corpi sono troppo veloci ora nel salire e scendere perché le labbra possano fermarsi le une sulle sulle altre. Così entrambe annunciano una lingua che va in cerca di quelle labbra, che inizia a muoversi quasi come fosse laggiù. Giocano e ridono. a volte si trovano, in piccoli morsi, guance che sbattono, si strusciano, mentre i gemiti risuonano di una felicità rappresa, eterna, pur conoscendone entrambe la brevità.

Poi una sospensione, il battito decelera, e una sospensione del respiro, mentre i corpi sono attraversati da contrazioni e tremiti di ogni genere, cos’è? Non è un orgasmo, ma quasi lo sembra. Lei pensa di non saper bene dove di preciso, ma diverse parti del suo corpo stanno avendo un orgasmo, la pelle, il collo, i seni, il ventre quasi incollato a a quella schiena, a quelle spalle. Si lascia andare a un sospiro di piacere profondo ed ecco che il battito riprende. Le bocche si afferrano finalmente, si avvinghiano, le lingue si conoscono, si riconoscono, si prendono tutto lo spazio, sfiorano entrano girano escono, i corpi sono sospesi perché sono finiti dentro quelle bocche. Sono lì dentro. Le mani si fanno lingue le lingue si fanno mani. Lei davanti compone una rotazione dolcemente mentre quel bacio non riesce a sciogliersi, si guardano negli occhi. Non succedeva da un po ed è una bella sorpresa. Sorridono molto, la rotazione è quasi totale e adesso lei che da dietro finisce davanti, in un abbraccio che sembra non essersi mai arreso troppo nonostante le onde e le oscillazioni leggere della barca.

Ora da qui le da una piccola spinta, come per buttarsi nell’acqua assieme fingendo che sia stata un’ondina, i riflessi sono tutti orientati al piacere cadrebbero in un attimo perché non temono pericoli. Così si lasciano spingere l’una dall’altra ridendo come due che si fanno i dispetti quelli dolci perché si vogliono bene, e finiscono in acqua, dove i corpi nudi e tutti i sensi sembrano esplodere, o aprirsi, come sbocciare ancora, i corpi si rinfrescano e loro sono pronte a ricominciare.

– È tardo pomeriggio e dopo l’ennesimo orgasmo e l’ennesimo bagno, si asciugano al sole e si vestono per raggiungere il mare e poi la spiaggia, la grande festa, il falò! Il loro volto é rilassato e stanco allo stesso tempo per le poche ore di sonno e le tante ore d’amore. Prendono tutto il vento in faccia, gli schizzi d’acqua ogni tanto si guardano e si accarezzano dolcemente. Non servono parole.

Sanno entrambe che a quella festa incontreranno, dopo tanto tempo, persone per nulla indifferenti per l’una e per l’altra e che si manterranno distanti nel corso della serata.

Ciascuna dentro di sé si sta chiedendo se faranno ritorno insieme e sarà bello come l’andata. O se è stata solo la passione di un giorno. O ancora se la notte che le aspetta sull’isola stravolgerà di nuovo le loro vite.

Intravedono la costa alla quale approderanno, tante persone, musica, un falò e attorno soltanto mare e una natura selvaggia.

Lei attracca e guardandola negli occhi le dice: “Beh, ci vediamo in giro nella serata”

E l’ altra, un po’ confusa dall’affermazione, risponde “Divertiti!”

La fiut
La fiut

– Una volta raggiunta la folla di persone le due incontrano tanti sguardi di amiche e amici, per entrambe diversi incontri scaturiscono grandi abbracci, risate, sorrisi. Lei si sente stordita e ancora pervasa da tutto quel piacere in espansione, il respiro è rilassato come lo è solo dopo un pomeriggio di godimento. C’è molto buio, i suoni e i canti sono tra le poche cose che scandiscono il senso dell’orientamento. E il falò. Il buio finisce dove iniziano i lampi del falò, che disegnano i contorni dei volti e illuminano gli occhi della gente. Presto si accorgono che senza esserselo detto quei lampi di luce diventano un appuntamento certo in cui trovarsi, potersi scambiare sguardi fugaci. In un primo incontro uno di quegli sguardi dura un istante solo ma sembra un fulmine impetuoso, le scorre un brivido lungo la schiena,, rilascia fuoco, calore, e poi scompaiono nel buio. Poi ne segue un altro, dopo qualche giro di giostra tra la gente contenta, questa volta con un sorriso di lei che è un misto tra imbarazzo e voglia di toccarla dentro e dappertutto e ricominciare fino a domani. Sente discendere un piccolo fiume per pochi secondi, d’improvviso, come una scia di tutti gli orgasmi provati prima, un altro brivido. Poi scompaiono nel buio. Si perdono di vista per un po’, si lanciano in canti e tuffi in mare notturni, risate, birre.

Quando si ritrovano sembra già quasi albeggiare, stanno andando via quasi tutti intorno, l’una, passando, accenna all’altra una carezza su un fianco, con la mano tiepida, mentre si avvicina al falò per aggiungere gli ultimi pezzetti di legno. L’energia scaturita dal loro tocco ha avvolto tutta la riva di nuovo, per un secondo. Non sanno niente di che cosa è capitato all’una o all’altra con le persone che non erano loro indifferenti. Se ne vanno tutti e qualcun altro si accascia qua e là. Si avvicinano, non sentono il bisogno di dirsi niente. Sembra rimbombare ancora quel sospiro morbido sulla sua bocca, sulle spalle, tra i capelli. Si sdraiano sulla riva. Sono stanche. Si stendono insieme appartandosi un po’, si lasciano andare sulla sabbia e si abbracciano come fossero una la coperta dell’altra. Fa un po’ freddo. Si addormentano aspettando il sole che scaldi la loro pelle salmastra.

– Che sensazioni ti da?

– Ti vorrei rispondere senza freni

– Via i freni insieme alle (mie) mutande :p  

– E’ stato come nuotare in mare, ho provato ad immaginarmi il tuo respiro, un po’ credo di averlo sentito, su di me, è durato tutto moltissimo tempo, con movimenti lenti, di tutto il corpo, in mezzo ai fiumi di un’eccitazione intensa. Ho sentito come aprirsi tutto, e un po’ riuscivo a sentirti sfiorarmi. Ti ho baciata un’infinità di volte. Troppo?

– E’ stato così anche per me. Ti sentivo toccarmi e godere, ti sentivo dentro e sentivo il tuo bagno di calore. Ti immaginavo sussurrarmi delle cose e di farlo a mia volta. Mi ha pervaso la voglia di scendere con la bocca tra le tue gambe, lentamente. Sentendo il tuo piacere sulla mia lingua.

– Inizio a scendere, a leccarti baciarti il collo le clavicole un seno poi l’altro, mi fermo sul capezzolo per poi discendere nell’incavo, scendo poi piano passo la lingua leggere sull’inguine con le mani navigo sui tuoi seni, inizio a leccarti sentendoti godere mentre allarghi le braccia e ti tieni alla barca.

– Mi da un senso di rilassatezza e fiducia abandonarmi a dormire con te su una spiaggia all’alba. Senza dirci una parola. Sentire poi i sensi riprendere la voglia. Ti propongo di spostarci, quando mi sento già di nuovo bagnata. Non ho fretta di andarmene da lì ma voglia di guardarti e lasciare il mio corpo libero di fluire. Magari rinfrescarci nell’acqua, sentire l’odore della tua pelle.

– I sensi si risvegliano come sento la tua mano che mi sfiora, la tua voce che mi propone un posto dietro la roccia, mi dice che lì c’è un antro sicuro.

– Voglio portarti dietro la roccia a fare l’amore

– Ci andiamo.

– Voglio farti sentire l’effetto che mi fai portandoti la mano tra le mie gambe

– Sento tutto il tuo calore che pulsa

– Mi sembra di sentire la tua lingua girare attorno piano e poi lentamente dirigere il mio piacere, farmi spalancare le gambe, la testa indietro e le mani aggrappate alle rocce al mio fianco.

– Con la lingua alterno piccole pressioni, poi riesco, piano giro attorno, rientro, affondo, ti sento godere e le tue mani finiscono sulle mie spalle, con forza mi tieni, invochi di più, allargando ancora di più le gambe.. ti lecco ancora e ancora, con le mani raggiungo i tuoi seni mentre inizi a tremare

– Vorrei gridare di godimento, tremo ancora più forte e penso che il mio piacere stia per esplodere nella tua bocca vorrei dirti cose a metà tra qualche porcata e smancerie romantiche

– Dimmi un sacco di porcate, smancerie, urla, tutto, i tuoi movimenti e i tuoi gemiti diventano il mio godimento, mentre la mia lingua va in profondità. Mentre esplode il tuo piacere esplode anche il mio, rimango ansimante a leccare tutto quello che c’è.

– Mi sono bagnata tutta, non voglio smettere, continuerei tutta notte

– Io ti vorrei qui, vorrei continuare a sussurrarti all’orecchio tutte le mie fantasie, mentre sento le tue mani tra le mie gambe, dentro un lago di piacere.

Autoerotismo bombing tipo fulmine a ciel sereno…ovvero Dai che ce la fai 🔏

Come accade ogni sera ormai mi avvicino al bisogno di dormire solo poggiando il computer sulla pancia e leggendo o guardando cose che poi, però, il sonno non me lo fanno quasi mai venire. Pessima abitudine, lo so.
“…Ancora non sappiamo l’esito ma è certo che avremo bisogno di cambiamenti sociali radicali…”
Leggo sprazzi di un articolo che pare interessante anche se ripete quello che ho già letto almeno cento volte negli ultimi giorni: -“Il mondo che conoscevamo ha smesso di girare”- Gli occhi ogni tanto, pur senza sottrarsi alla lettura, scivolano sulle mie tette, contornate a filo da una canotta slabbrata grigio scuro, il braccio con cui mi cingo il busto me le tiene un po’ su, sembrano pure più grosse. Continuo a leggere, ma uno sguardo sottile quasi impercettibile finisce ancora lì. Non può essere che mi stia eccitando mentre leggo questa roba. Sarà influsso della luna piena e del fatto che la voglia di scopare trabocca, ma è comunque tutta accartocciata nei meandri della presa di coscienza di questo dannato distanziamento sociale e della repressione continua di qualunque atto di libertà. Ricordati che hai un corpo, penso spesso. La mattina quando faccio ginnastica, per esempio, la mia fica riprende sensibilità, i miei movimenti mi fanno quasi bagnare talvolta, ma lasciandomi un’eccitazione che non sfocia mai in una bella sessione di godimento come piace a me, si chiude a riccio e resta lì. Anche se quando mi abbasso per fare squat profondo e i pantaloni disegnano le mie grandi labbra e le strizzano nel tessuto, basterebbe un soffio sulla clitoride quasi per farmi venire, tanto il mio corpo scalpita. Ma poi no, lascio perdere.

Stanotte c’è la luna piena, dicevo, ed è da stamani che il mio corpo ha preso una danza nuova, sento che le terminazioni nervose dei miei innumerevoli punti g, b, s, t ecc sono molto più reattive. Sì, ma è l’immaginario il problema, mi ripeto, è questa nube entro la quale ci sentiamo, il problema.

ALEXANDRA MARINOVA

Muovo appena il braccio che tiene su le mie tette, le vedo muoversi piano stringendosi tra loro e rivelando una piega nel mezzo niente male. Con una mano ne afferro una e comincio a fare lenti movimenti sulla mia pelle tiepida, finché dalla canotta si libera un capezzolo, quello più brutto tra i due, ma non importa. Col pollice lo sfioro e comincio a comporre piccoli cerchi. Nonostante non esista niente di meno eccitante di Slavoj Zizek che parla di cambiamenti sociali – per di più in questo periodo storico – mi sta salendo una gran voglia di godermi finalmente, così do un leggero colpo di bacino mentre una piccola contrazione muscolare lascia che un brivido mi attraversi. Metto via Zizek mentre il mio corpo si lascia andare a un respiro profondo. Esiste solo la mia mano che si fa più incalzante nel movimento e i capezzoli si induriscono, si aggiunge anche l’altra mano, e poi un’altra, e ancora un’altra. Spengo la luce? Se le persone sapessero fare buon uso di certe immagini mi farei guardare sempre perché mi eccita moltissimo, ma così non è, tantomeno il mio vicinato, quindi sì, spengo la luce. Comincio a ondeggiare il bacino piano, per giocare con quella cosa goduriosa che accade quando il tessuto delle mutande o la cucitura dei pantaloni sfregano sulla clitoride eccitata che comincia a diventare calda e umida. Una tempesta di visioni mi precipita dentro. Socchiudo la bocca, chiudo gli occhi, mi prendi le mani e te le porti verso la pancia, la mia lingua sfiora l’angolo della bocca, mi mordo appena le labbra, mi si inarca la schiena, arrivo giù dove le grandi labbra sono sensibili al punto di sentire il tocco anche dove non c’è e inizio a sfregare piano con la mano fuori dai pantaloni, su e giù, mentre le mie tette stanno danzando sotto la tua lingua e i tuoi baci induriscono i miei capezzoli indorati dalla luce della luna che entra nella stanza. Mi togli i pantaloni insieme agli slip, inizio a sentire il mio odore che sale leggero dalle lenzuola quando mi attraversano scene lampo di scopate storiche, fuori da ogni mio possibile controllo. Non è un vacillare dentro lunghi ricordi, arrivano solo dei fulmini, dei flash, che alimentano il mio respiro che si fa sempre più caldo. Mentre mi assale la sensazione di quella lingua che mi lecca sapientemente e che scende adesso nel profondo, divento un corpo sudato che sussurra oh, sì… Scopami scopami scopami. Ecco un caos di lingue, sudore, gemiti, mani e corpi che si intrecciano lasciando una scia di odori buonissimi. La mia lingua compone cerchi concentrici e lenti attorno alla tua clitoride, ponderando la pressione, le mie gambe si divaricano, sono bagnata e sento il calore che divampa tra le cosce, mentre le dita mi scivolano dentro, il mio bacino sale e scende piano e la schiena si inarca ancora. I muscoli delle gambe si tendono e si stendono.  La mia mano ora scivola fuori e naviga nel mio liquido eccitato, maneggia la clitoride un po’ e riallarga sulle piccole labbra, si muove e aumenta la pressione, la mia bocca è spalancata, gli occhi serrati, più veloce la mia mano, le mie gambe sono sempre più aperte, il fiato si accorcia, il mio odore si fa più morbido e il mio culo reclama un po’ di attenzioni.

Alexandra Marinova
ALEXANDRA MARINOVA

Mi giro a pancia in giù sostenendomi sui gomiti, le mie dita entrano ancora dentro facendomi sobbalzare di piacere, sul mio culo gordo arrivano due mani che allargano le chiappe ogni volta che salgo e scendo, altre mani mi afferrano le tette e la mia lingua è un fuoco, vorrei urlare e gemere, non posso,

sveglio mio fratello.
Ah,
fanculo.
Perché ho pensato a mio fratello?
Merda, in un attimo sono comparse tutte le figure più abominevoli – dopo zizek -, mia madre,
mio padre.
Cazzo.
Questa faccenda di essere a casa con loro è un disastro erotico esponenziale mai visto.
Non importa, la mia fica ormai avrebbe bisogno di ben altro per asciugarsi.
Mah,
no,
merda,
ho rovinato tutto.
Sbuffo. Oh, tempi duri questi. Lascio scivolare fuori piano le mie dita umide, mi colgono le contrazioni muscolari che seguono gli orgasmi abbandonati, e così scopro che in realtà la clitoride è lì che aspetta di impazzire e niente ha scalfito i suoi entusiasmi. Mi volto a pancia in su, mi lascio andare a un sospiro sospeso mentre divarico le gambe nuovamente, con una mano massaggio lentamente appena sopra la clitoride, con l’altra mi sfioro il ventre e risalgo piano verso le mie piccolissime dune di sabbia, con la bocca ho l’impressione di leccarmi i capezzoli anche se no, non ci arrivo, la pressione delle mie dita condensa in sé ora tutte le scopate migliori della mia vita, ricomincio a bagnami, sento il calore di nuovo, le dita sempre più veloce salgono scendono e girano, la schiena si curva ancora, stendo le gambe, i piedi si stirano, quasi non voglio venire subito, voglio che duri di più, no, invece voglio venire, ora. No, non voglio venire, allora allento il tocco, questo momento in cui sono vicinissima all’esplosione mi fa impazzire. Rallento, ma non troppo. Velocizzo, come un’armonia. Sì, voglio venire, no, ancora un po’, sì…sì, sì, sì, voglio venire, sto per venire, un istante sospeso mi separa dall’estasi profonda che, infine, mi inonda.

Riapro gli occhi. Un sospiro felice mi dà quella sensazione di nuovo corpo che si avverte persino dopo una autosveltina del genere.

ALEXANDRA MARINOVA
Le gambe si rilassano, continuo a toccarmi per avvertire quelle contrazioni di piacere post orgasmiche molto orgasmiche e per cospargermi del mio godimento bagnato.
Mentre mi accoglie ancora il mio odore di fica felice e mi rigiro nel letto mi viene in mente quella volta in cui questo mio fatto di dare un lieve contributo nella scelta del momento dell’orgasmo – scelta estremamente relativa, perché in realtà, poi, quando arriva arriva – era stato motivo di discussione con una mia compagna di anni e anni fa. Sosteneva che gli togliessi naturalezza, ma dico manco stessi lì a dire ‘ora sì’, ‘ora no’, voglio dire, in momenti lontani dal momento avevo spiegato che a volte lasciavo solo qualche istante non al caso, spesso per raggiungere quella cosa potentissima che è venire insieme, oppure per godere di più, oppure per non interrompermi sul più bello, perché non sempre ‘il più bello’ è l’orgasmo in sé. Oltre che fa bene ai muscoli della vagina. Per quante di queste visioni sacrali e sacralizzanti dell’atto sessuale ho dovuto giustificare cose? 
Lascio perdere il pensiero, ché di interferenze ne ho avute fin troppe, e penso che per essere una masturbata che è nata dalle ceneri di un articolo noiosissimo sulle conseguenze sociali di questo pandemonio, e per essere sopraggiunte le visioni di mio fratello, mia mamma e mio babbo, un orgasmo è sempre un orgasmo. Finalmente. E senza orgasmi, io, al mondo, non ci posso stare. Ma quant’è difficile sciogliere i nervi e amarsi un po’ in questa valanga tossica?

F**k you (generico ma neanche troppo) 🔏

Fritz non pensa di essere in grado di scrivere un racconto erotico. Non scopa da mesi. Quando si dice di mettersi a letto e magari masturbarsi così per passare il tempo nulla. Niente. Rimane asciutta. Si domanda le altre come facciano. Come si fa a scopare un giorno si e l’altro pure, provare questo piacere che mai ha raggiunto e non esserne annoiate? Non è stancante? Non è fastidioso sentire dita, lingue, mani che accarezzano, il cuore in gola che batte veloce, il respiro che si affanna, occhi chiusi aperti che osservano mani altrui muoversi nei meandri del proprio corpo – è davvero quello il mio corpo? – e la mente che viaggia, – ma dove? -, verso quel grido di piacere profondo e liquido che sta lì in attesa di esser liberato, che sale sale sale e sbam! Muro. Toglimi il tuo corpo di dosso. Levate!

Chiara Dime

Questo corpo è mio, lo ascolti?
Lo segui?
Lo hai capito?
O te devo spiegà tutto?

Il suo secondo chakra è chiuso per ferie. A tempo indeterminato.
Ci sarà qualcun’altra a cui fa schifo scopare?
Il desiderio erotico risiede solo in quelle immagini di corpi avvolti e sudanti?

Rigurgito.
Desiderio rattrappito.
Cerca nei meandri e si chiede dov’è andato a finire. Cerca immagini, ricordi.

C’era una volta che era al cinema, la sala era grande, non erano in tante ed era l’ultimo spettacolo della sera. Ognuna già seduta a più di un metro di distanza. Le luci si spensero. Era un film erotico. Pieno di ragazze belle e brutte. E una scena l’aveva colpita, sì. Adesso ricorda, lo stomaco si era chiuso un istante, i capezzoli si erano risvegliati e forse aveva sentito le mutande bagnarsi. Qualcuna nella poltrona vicino le aveva accarezzato la nuca dove i capelli erano appena stati tagliati e le era sceso un brivido lungo la schiena che aveva acceso un piccolo fuoco che dovette trattenere lì. Si era concentrata tutta per non farlo spegnere, le piaceva sentire i  contorni del suo corpo, fragile sensibilità. La trama del film proseguiva sullo schermo, ma la sua mente era rimasta lì, su quella scena.

Chiara Dime

Quanto avrebbe voluto quel bacio anche lei. Un bacio erotico, scherzoso, che prometteva una scopata di profondo piacere e risate. Era bastata quella lingua che con la sua punta aveva sfiorato delle labbra socchiuse, lasciandole in attesa di un futuro incerto e desiderante. Niente più. Continuò a guardare il film, sperando che il desiderio viaggiasse su onde telepatiche, che quella mano che le aveva sfiorato la nuca tornasse e ordinasse al corpo al quale apparteneva di avvicinarsi, di farsi conoscere, di mettersi a sedere su di lei, capezzolo canottiera contro maglietta capezzolo, su quelle poltrone di un cinema buio, per sfiorare con la punta della sua lingua le sue labbra socchiuse anch’esse in attesa di un futuro incerto e ugualmente desiderante.

Sbam!

Sbatte una porta e Fritz torna alla realtà. Se qualcosa del suo corpo si era risvegliato c’era voluto un attimo per richiudere tutti i battenti. Che andassero tutte a quel paese. Mente infame. Il sole entra dalle finestre della sua stanza. Si affaccia per vedere cosa le offre il mondo esterno. Una fila di persone in attesa di entrare al supermercato fa il giro dell’isolato. Arriccia le sopracciglia, la avvolge una oramai familiare sensazione di aridità soffocante.
Allunga le mani sul pacchetto di tabacco aperto sulla scrivania. Mentre aspira la prima boccata della sua sigaretta, esce dalla stanza lasciando il pc aperto, schermo ormai spento in standby.

Questo orgasmo non s’ha da fare 🔏

di Borragine
Sto annaffiando. È il crepuscolo e oggi mi sono decisa a guardare le innumerevoli piante grasse e non di cui ho la fortuna di essere circondata. 
In particolare ce n’è una che cattura sempre la mia attenzione ed è la più maestosa. Somiglia a un’aloe, ma non della specie più comune: sembra infatti la sua antenata, anzi sembra che si possa dire che non sia cambiata affatto nel corso della storia e che i miei occhi possano guardare oggi ciò che chissà quanti occhi hanno visto.

Osservo questo dinosauro vegetale in ogni sua forma, si solleva in un tronco tarchiato per 40 cm prima di esplodere in una cupola confusa di larghe foglie rigonfie alta il quadruplo rispetto alla sua unica gamba. Evito di abbeverarla, so che non necessita davvero la mia presenza, ma voglio avere comunque una relazione con lei e, prima ancora che io possa decifrare questo pensiero, le mie mani hanno già raggiunto le sue foglie. In realtà sono le mie dita che sfiorano dolcemente la punta sottile, fino a seguirne l’apertura in una lingua carnosa costeggiata di spine arcuate.

CàRusso
Non voglio rischiare di sfociare in frikkettonate o erotismo vegetale, ma di fatto non posso negare che quella carezza recupera un’immagine tattile che mi dà un brivido, e lo accolgo con piacere, visti i tempi. 
Mi piacciono questi pantaloni blu che indosso, hanno una tonalità inconsueta che si abbina bene al verde della campagna. Mi tocco le gambe qua e là e sento i miei peli lunghi e spessi sulle cosce dure. Penso che questi pantaloni ti piacerebbero e le mie mani mi toccano quasi come se avessero dimenticato come sono fatta. Come mi stanno questi pantaloni sul culo? Non lo so, toccami. Un pensiero mi attraversa ed è che di sicuro dev’esserci una punta di magenta nel fucking blu di questo cotone, ma cosa penso, toccami piuttosto. Se fossi qui adesso ti direi di non smettere, ma non ci sei e allora mi arrampico sù nella mia capanna soppalcata, scandagliando ricordi e fantasie dentro la mia testa. 

Io mi masturbo spesso, il più delle volte con materiale video, perché così come accade per le canzoni che preferiamo, è bene preservare quel punto di non ritorno oltre il quale l’ascolto sarà inevitabilmente diverso e quelle che ci sembravano prima straordinarie assonanze imprevedibili saranno ora al nostro orecchio svelate ed incise per più o meno sempre, fracassandone ogni effetto sorpresa. Così, a un certo punto, ho deciso di preservare memoria e immaginazione sostituendola con immagini, più o meno trash o raffinate, per stare al passo con gli esercizi famelici di routine tra me e me senza per questo consumare i ricordi che conservo, invisibili sulle mie rètine.

CàRusso
Ma oggi è uno di quei giorni in cui ho voglia di ascoltare la mia canzone preferita e di stendermi sul letto nella penombra, mentre mi avvolgo nel buio lanoso di una coperta e sotto di questa scoprirmi, spogliarmi, mentre la tua mano risale tra le mie gambe e poi sul bacino, ne segue le costole e i muscoli dietro le ascelle; queste braccia ora vorrebbero le tue mani arcuate a stringerle e cingermi, ma questa non è che la mia prevedibile fantasia, sono sola, sì, e che importa? Toccati le tette, coraggio! Non ti piacciono le tue tette? Certo, a chi non piacciono le tette, anche se quando non sono nuda le odio, ma va bene, in fondo pensare che le mie tette ti piacciono mi eccita. Che piacciono a te, a lui, a lui, e a lei, e a lei… Mi eccitano ora delle istantanee di un passato che mi sembra lontanissimo, qualcosa che non so spiegare che viene da molto lontano. Mi eccita e mi turba allo stesso tempo. 
Chissà se questa cosa la risolverò mai, chissà se di risoluzione si possa parlare, chissà se il problema è proprio che ad eccitarmi sia il turbamento. O viceversa? 
Decisamente viceversa. 

Lockdown ed. 🔏

“Non riesco a vedere mondi che non esistono, (ma ci provo lo stesso)”: diario diciamolo porno della quarantena
[link ai testi in fondo]

Il tuo desiderio galoppa libero e selvaggio o la tua libido è sprofondata sotto terra?
L’ormone primaverile ti fa desiderare di scappare via con la postina o di rifugiarti in un nuovo letargo autoerotico? Sogni a occhi aperti nuove avventure mirabolanti o ripeschi dalla memoria immagini sollazzanti con una mano nelle mutande? Ti eri preparat* per nuovi incontri fiammanti e ti ritrovi a interagire solo con la moka e la vicina antipatica coi cani? Hai speso tutta la tua cassa integrazione per comprare sex toys o hai appeso il dildo al chiodo? …

Questa è una chiamata alle voci di chi geme in sordina, ai desideri nascosti nell’armadio e a quelli che si sono persi nel cambio di stagione, alle voglie riaffiorate dalle nebbie del tempo sospeso, alle fantasie sbirciate dalle tapparelle libidinose dell’appartamento accanto, agli umori altalenanti che ci sbattono contro un muro senza consenso e senza godimento, ai corpi che si vogliono raccontare mettendo da parte pudore e decenza, per recuperare l’immaginazione erotica come strumento di sovversione della realtà.

Raccontati e racconta nella forma che preferisci e, se ti va, firmati con uno pseudonimo; non ci sono limiti di battute o indicazioni specifiche sullo stile, libera il chakra rivoluzionario dell’autonarrazione erotica!
Hormony Lockdown ed. è un contenitore lussurioso che si lascia attraversare da tutte le forme creative: componimenti poetici, prose, flussi di coscienza, haiku, novelle, racconti più o meno brevi, testi più o meno codificati, di ogni genere, lunghezza, orientamento che raccontino il tuo rapporto con la sessualità in questo periodo così opaco.

I contributi ricevuti saranno caricati periodicamente sul blog; tutto il materiale sarà poi raccolto in piccole edizionie cartacee.
Invia testi in word corredati di nomi veri, inventati o pseudonimi impensabili a

hormony @ canaglie.org

 

Orge di autoerotismo 🔏 di Fred Franka

Questo orgasmo non s’ha da fare 🔏 di Borragine

F**k you (generico ma neanche troppo) 🔏

Autoerotismo bombing tipo fulmine a ciel sereno…ovvero Dai che ce la fai 🔏

A quattro mani  🔏 di La Faglia
Magari 🔏 di Una