Come accade ogni sera ormai mi avvicino al bisogno di dormire solo poggiando il computer sulla pancia e leggendo o guardando cose che poi, però, il sonno non me lo fanno quasi mai venire. Pessima abitudine, lo so.
“…Ancora non sappiamo l’esito ma è certo che avremo bisogno di cambiamenti sociali radicali…”
Leggo sprazzi di un articolo che pare interessante anche se ripete quello che ho già letto almeno cento volte negli ultimi giorni: -“Il mondo che conoscevamo ha smesso di girare”- Gli occhi ogni tanto, pur senza sottrarsi alla lettura, scivolano sulle mie tette, contornate a filo da una canotta slabbrata grigio scuro, il braccio con cui mi cingo il busto me le tiene un po’ su, sembrano pure più grosse. Continuo a leggere, ma uno sguardo sottile quasi impercettibile finisce ancora lì. Non può essere che mi stia eccitando mentre leggo questa roba. Sarà influsso della luna piena e del fatto che la voglia di scopare trabocca, ma è comunque tutta accartocciata nei meandri della presa di coscienza di questo dannato distanziamento sociale e della repressione continua di qualunque atto di libertà. Ricordati che hai un corpo, penso spesso. La mattina quando faccio ginnastica, per esempio, la mia fica riprende sensibilità, i miei movimenti mi fanno quasi bagnare talvolta, ma lasciandomi un’eccitazione che non sfocia mai in una bella sessione di godimento come piace a me, si chiude a riccio e resta lì. Anche se quando mi abbasso per fare squat profondo e i pantaloni disegnano le mie grandi labbra e le strizzano nel tessuto, basterebbe un soffio sulla clitoride quasi per farmi venire, tanto il mio corpo scalpita. Ma poi no, lascio perdere.
Stanotte c’è la luna piena, dicevo, ed è da stamani che il mio corpo ha preso una danza nuova, sento che le terminazioni nervose dei miei innumerevoli punti g, b, s, t ecc sono molto più reattive. Sì, ma è l’immaginario il problema, mi ripeto, è questa nube entro la quale ci sentiamo, il problema.
Muovo appena il braccio che tiene su le mie tette, le vedo muoversi piano stringendosi tra loro e rivelando una piega nel mezzo niente male. Con una mano ne afferro una e comincio a fare lenti movimenti sulla mia pelle tiepida, finché dalla canotta si libera un capezzolo, quello più brutto tra i due, ma non importa. Col pollice lo sfioro e comincio a comporre piccoli cerchi. Nonostante non esista niente di meno eccitante di Slavoj Zizek che parla di cambiamenti sociali – per di più in questo periodo storico – mi sta salendo una gran voglia di godermi finalmente, così do un leggero colpo di bacino mentre una piccola contrazione muscolare lascia che un brivido mi attraversi. Metto via Zizek mentre il mio corpo si lascia andare a un respiro profondo. Esiste solo la mia mano che si fa più incalzante nel movimento e i capezzoli si induriscono, si aggiunge anche l’altra mano, e poi un’altra, e ancora un’altra. Spengo la luce? Se le persone sapessero fare buon uso di certe immagini mi farei guardare sempre perché mi eccita moltissimo, ma così non è, tantomeno il mio vicinato, quindi sì, spengo la luce. Comincio a ondeggiare il bacino piano, per giocare con quella cosa goduriosa che accade quando il tessuto delle mutande o la cucitura dei pantaloni sfregano sulla clitoride eccitata che comincia a diventare calda e umida. Una tempesta di visioni mi precipita dentro. Socchiudo la bocca, chiudo gli occhi, mi prendi le mani e te le porti verso la pancia, la mia lingua sfiora l’angolo della bocca, mi mordo appena le labbra, mi si inarca la schiena, arrivo giù dove le grandi labbra sono sensibili al punto di sentire il tocco anche dove non c’è e inizio a sfregare piano con la mano fuori dai pantaloni, su e giù, mentre le mie tette stanno danzando sotto la tua lingua e i tuoi baci induriscono i miei capezzoli indorati dalla luce della luna che entra nella stanza. Mi togli i pantaloni insieme agli slip, inizio a sentire il mio odore che sale leggero dalle lenzuola quando mi attraversano scene lampo di scopate storiche, fuori da ogni mio possibile controllo. Non è un vacillare dentro lunghi ricordi, arrivano solo dei fulmini, dei flash, che alimentano il mio respiro che si fa sempre più caldo. Mentre mi assale la sensazione di quella lingua che mi lecca sapientemente e che scende adesso nel profondo, divento un corpo sudato che sussurra oh, sì… Scopami scopami scopami. Ecco un caos di lingue, sudore, gemiti, mani e corpi che si intrecciano lasciando una scia di odori buonissimi. La mia lingua compone cerchi concentrici e lenti attorno alla tua clitoride, ponderando la pressione, le mie gambe si divaricano, sono bagnata e sento il calore che divampa tra le cosce, mentre le dita mi scivolano dentro, il mio bacino sale e scende piano e la schiena si inarca ancora. I muscoli delle gambe si tendono e si stendono. La mia mano ora scivola fuori e naviga nel mio liquido eccitato, maneggia la clitoride un po’ e riallarga sulle piccole labbra, si muove e aumenta la pressione, la mia bocca è spalancata, gli occhi serrati, più veloce la mia mano, le mie gambe sono sempre più aperte, il fiato si accorcia, il mio odore si fa più morbido e il mio culo reclama un po’ di attenzioni.
Mi giro a pancia in giù sostenendomi sui gomiti, le mie dita entrano ancora dentro facendomi sobbalzare di piacere, sul mio culo gordo arrivano due mani che allargano le chiappe ogni volta che salgo e scendo, altre mani mi afferrano le tette e la mia lingua è un fuoco, vorrei urlare e gemere, non posso,
sveglio mio fratello.
Ah,
fanculo.
Perché ho pensato a mio fratello?
Merda, in un attimo sono comparse tutte le figure più abominevoli – dopo zizek -, mia madre,
mio padre.
Cazzo.
Questa faccenda di essere a casa con loro è un disastro erotico esponenziale mai visto.
Non importa, la mia fica ormai avrebbe bisogno di ben altro per asciugarsi.
Mah,
no,
merda,
ho rovinato tutto.
Sbuffo. Oh, tempi duri questi. Lascio scivolare fuori piano le mie dita umide, mi colgono le contrazioni muscolari che seguono gli orgasmi abbandonati, e così scopro che in realtà la clitoride è lì che aspetta di impazzire e niente ha scalfito i suoi entusiasmi. Mi volto a pancia in su, mi lascio andare a un sospiro sospeso mentre divarico le gambe nuovamente, con una mano massaggio lentamente appena sopra la clitoride, con l’altra mi sfioro il ventre e risalgo piano verso le mie piccolissime dune di sabbia, con la bocca ho l’impressione di leccarmi i capezzoli anche se no, non ci arrivo, la pressione delle mie dita condensa in sé ora tutte le scopate migliori della mia vita, ricomincio a bagnami, sento il calore di nuovo, le dita sempre più veloce salgono scendono e girano, la schiena si curva ancora, stendo le gambe, i piedi si stirano, quasi non voglio venire subito, voglio che duri di più, no, invece voglio venire, ora. No, non voglio venire, allora allento il tocco, questo momento in cui sono vicinissima all’esplosione mi fa impazzire. Rallento, ma non troppo. Velocizzo, come un’armonia. Sì, voglio venire, no, ancora un po’, sì…sì, sì, sì, voglio venire, sto per venire, un istante sospeso mi separa dall’estasi profonda che, infine, mi inonda.
Riapro gli occhi. Un sospiro felice mi dà quella sensazione di nuovo corpo che si avverte persino dopo una autosveltina del genere.
Le gambe si rilassano, continuo a toccarmi per avvertire quelle contrazioni di piacere post orgasmiche molto orgasmiche e per cospargermi del mio godimento bagnato.
Mentre mi accoglie ancora il mio odore di fica felice e mi rigiro nel letto mi viene in mente quella volta in cui questo mio fatto di dare un lieve contributo nella scelta del momento dell’orgasmo – scelta estremamente relativa, perché in realtà, poi, quando arriva arriva – era stato motivo di discussione con una mia compagna di anni e anni fa. Sosteneva che gli togliessi naturalezza, ma dico manco stessi lì a dire ‘ora sì’, ‘ora no’, voglio dire, in momenti lontani dal momento avevo spiegato che a volte lasciavo solo qualche istante non al caso, spesso per raggiungere quella cosa potentissima che è venire insieme, oppure per godere di più, oppure per non interrompermi sul più bello, perché non sempre ‘il più bello’ è l’orgasmo in sé. Oltre che fa bene ai muscoli della vagina. Per quante di queste visioni sacrali e sacralizzanti dell’atto sessuale ho dovuto giustificare cose?
Lascio perdere il pensiero, ché di interferenze ne ho avute fin troppe, e penso che per essere una masturbata che è nata dalle ceneri di un articolo noiosissimo sulle conseguenze sociali di questo pandemonio, e per essere sopraggiunte le visioni di mio fratello, mia mamma e mio babbo, un orgasmo è sempre un orgasmo. Finalmente. E senza orgasmi, io, al mondo, non ci posso stare. Ma quant’è difficile sciogliere i nervi e amarsi un po’ in questa valanga tossica?