di Cicio
Le avevo appena conosciute, per caso, attraverso un’amica in comune un pomeriggio al parco, alla ricerca di un po’ di verde e fresco dall’arsura del cemento. Erano così diverse dal resto del mondo, da tutte quelle mie frequentazioni così dentro i binari. A guardarla, qualcuna di loro, sentivo di condividerci qualche inconscia affinità; mi sentivo simile, ma senza rivedermici del tutto.
Le guardavo un po’ di traverso, diffidente e molto curiosa allo stesso tempo, non potevo davvero smettere di guardarle. Avevano quel modo di fare duro e tagliente, acuito dai capelli corti o rasati, e a tratti una goffaggine e un sorriso dolci. Pensavo che un po’ ridessero di me, timida e silenziosa. Probabilmente lo stavano facendo, in fondo anche loro avevano curiosità di capire chi io fossi.
La prima ad avvicinarsi a me e presentarmisi, era diversa ancora: da loro, da me. I capelli lunghi e chiari, i movimenti disinvolti, un’espansività gentile, capace di mettermi a mio agio.
<Anche tu delle nostre, stasera al Baroque? >
<No, io non lo conosco, non ne so niente!> Risposi, <Ma vediamo, perché no!>
Ci osservavamo, sfruttando all’ultimo centesimo di secondo, quel tempo massimo oltre il quale uno sguardo intenso diventa invadenza e fissazione. Ci scambiavamo qualche parola e qualche sorriso.
<Allora devi proprio venirci>, rispose lei sorridendo ancora.
I suoi capelli avevano un buon profumo, di tanto in tanto le cadeva sulle spalle nude qualche ciocca dai capelli raccolti. In diverse si avvicinavano per salutarla e ogni volta lei si scusava con me passando la sua mano sulla mia nuca, o sulla mia guancia, sulla mia spalla, con un tocco delicato ma presente. Mi piacevano quelle mani e quello smalto nero sulle unghie leggermente allungate, che ogni tanto, fugacemente, sembravano tastare la morbidezza del mio primo strato di carne graffiandolo appena.
Mi sentivo attratta. Forse soltanto perché era stata la più accogliente ed era riuscita a non farmi sentire a disagio? Visto il suo impegno in altre conversazioni e che la mia amica era sparita, decisi però che era arrivato il momento di andarmene. Lei lo capisce subito, così interrompe la sua conversazione in atto e mi dice: <Dai vieni stasera! Spero di incontrarti al Baroque!> Sorrido, restando impacciata a mezzo metro da lei, e rispondo: <Vediamo! Grazie>.
Arrivata a casa, resto ben due ore a chiedermi che fare, se andarci o no. Sai quante cose puoi fare in 2 ore? Ecco, io avevo fatto solo quello. Ferma immobile sul letto, mi chiedevo che fare. Finché sull’orlo di una crisi, mi alzo di scatto, vado dritta verso la doccia e mi decido. Ci vado. La prospettiva di rimanere a casa da sola nella tristezza della solitudine è peggiore rispetto ad andare in luogo nel quale non conosco nessuna e provare imbarazzo. La mia amica questa sera non ci sarà. Non importa! Male che vada farò come quelle persone che si godono una serata in solitaria al bancone di un bar, non c’è mica nulla di male, no? Nessuna di loro che ci saranno se ne dovrebbe scandalizzare.
Apro l’armadio, non so come vestirmi. Non tanto per avere l’imbarazzo della scelta, quanto piuttosto per avere scelte imbarazzanti. Penso a come le piacerei di più. Si insomma, me lo dovevo ammettere: ci stavo andando nella speranza di incontrare lei! Pantaloncino corto o lungo leggero? Anonima o eccentrica? Black o colorato? Canotta o camicia? Ah! Quante storie. Prendo un pantalone lungo molto leggero, una canotta nera un po’ morbida, e una camicetta leggera sopra nel caso faccia fresco. Matita o no? Ma sì, e anche mascara e un po’ di cera ai capelli. Black, all black, ligia al galateo delle feste serali.
Esco, direzione Baroque!
Arrivo al posto che mi era stato descritto. Effettivamente, in questo quartiere non c’ero mai stata e questo locale non l’avevo mai visto. All’ingresso ci sono due delle tipe intraviste il pomeriggio, di quelle diciamo più simili a me! Una aveva degli stivali da cowboy e un gilet, l’altra la cravatta e una camicia con i fumetti. Le ho guardate e poi ho riguardato me.. certo che forse non siamo così simili in effetti! Guardavo fisso le scarpe davanti a me nella fila con questo pensiero sospeso in testa, provando a dargli risposta. Chissà perché contava così tanto farlo per me.
Finché due tacchi a spillo balzano ai miei occhi! Alzo subito la testa e quei due tacchi mi stampano un timbrino sulla guancia <Goditela sta serata cara!>. Sorrido, varco l’ingresso. Deve aver visto che ero pensierosa.
Ed eccomi catapultata dentro al Baroque.
Ed eccomi catapultata dentro a un altro mondo. La sala è enorme, con luci e faretti da paura, c’è un palco che taglia a metà la sala e un palco enorme sul fondo. Mi sento frastornata dalle luci, dalla molta gente, da persone fatte a ogni modo, vestite a ogni modo, che mi sfrecciano e volteggiano a fianco in botte di entusiasmo. Non conosco nessuna!
Decido di avvicinarmi al bancone del bar. C’è della musica di sottofondo. Prendo un moscow mule. Poi di colpo, come fosse un improvviso blackout, il silenzio, il buio totale. Le circa duecento persone nella sala fanno un boato.
È solo in quel momento di buio totale, che ho pensato che non c’è nemmeno un maschio machio in quella sala! Non credo sia un caso, l’averlo realizzato proprio nel momento di tenebra.
D’un tratto, torce e fontane illuminano il palco e dalla graticcia si srotola un’altalena insieme alla presentatrice, che a quel punto vi si siede in sella, con un completo gessato nero, i tacchi e un basco, e dondolando comincia a parlare: <Signore e signor! Tenetevi forte e preparatevi a scatenare l’inferno. Perché sul nostro palco questa sera, ad aprire lo speciale decimo compleanno del Baroque, ci sarà lei. Speriamo che la sorpresa sia riuscita, così da eccitarvi di più! Lei che tra le troppo poche a questo mondo sanno declinare i palchi anche grossi che non la meritavano, lei questa è sera salirà quassù solo per tutte noi. Ora sì, che l’avrete capito. Solo per noi..
La Dea di sabbia!>
Sale un boato ancora più forte, i piedi cominciano a battere al pavimento facendo vibrare la stanza e le mani ne accompagnano l’ingresso sul palco. Tutte si preparano in pista e avvicinano al palco, un solo faro al centro e in quel corridoio di luce su cui improvvisamente cala il silenzio, compare lei.
Ci cammina dentro, muovendosi verso la mia direzione. È la ragazza gentile del parco! Sono stupita quanto piacevolmente sorpresa di vederla lì. Ecco dov’era!
Ha una parrucca mora adesso, i capelli corti, un abito succinto e dei gioielli di acciaio molto appariscenti. Cammina lungo la scia di luce con una grande scioltezza cinematografica, si avvicina al microfono e comincia a cantare!
Per un attimo ho pensato di avere davanti Amy Winehouse, mi sono venuti i brividi. C’era chi cantava insieme a lei, chi ballava, sola o in coppia, chi l’ammirava e piangeva. È rimasta sul palco per mezz’ora, prolungata dagli applausi e le grida che continuavano a tenerla là sopra.
Poi è uscita, con la stessa scioltezza con la quale era entrata.
Il palco si travestiva di nuovo per accogliere il dj set di Cagna alfa e Pitbull Rabbioso.
Volevo uscire a fumarmi una sigaretta nel cortile sul retro, ma finisco per perdermi nel labirinto di quel posto, che credo un tempo fosse un night club a giudicare dalle postazioni per la pole dance.
Entro in un corridoio <No! Sbagliato!> Ma mentre mi rigiro su me stessa per ritornare indietro, la vedo. Sta in una stanza acchittata a camerino, piena di specchi, abiti e un lungo bancone. Altre due o tre amiche la stanno aiutando a svestirsi, mentre lei mi vede e le interrompe!
<Hei! Allora sei venuta!>.
Mi sento in imbarazzo, non riesco a dirle quanto mi sia piaciuta, quanto mi piaccia. Anche lei è un po’ in imbarazzo, lo noto dalla postura delle spalle un po’ chiuse. Ha ancora addosso vestito e parrucca. Si guarda, mi guarda, ridiamo.
Mi chiede <Senti ma lo vuoi vedere un luogo segreto di questo posto?>
<Bè, con grande piacere!> rispondo io.
<Fammi solo mettere i sandali, perché con i tacchi non ce la faccio più!>.
Annuisco e le porgo un sorso del mio terzo drink in un’ora.
<Andiamo! Ah te le sei prese le sigarette? Perchè non torniamo subito> Mi stupisce la domanda, in effetti è un elemento importante. Ricontrollo e ce le ho. La seguo. Mi porta tra meandri di corridoi e stanze vuote. Finché a un certo punto sale su una scala e apre una botola nel soffitto: <Vieni dai!>.
Sorride. Saliamo su una scala d’emergenza a chiocciola, fino sul tetto del locale: da un lato, la città, dall’altro, le colline. Ci avviciniamo al muretto per guardare di sotto.
<Voilà! Carino, vero?>
<È bellissimo! Grazie di questo regalo>
<Ti sta piacendo il Baroque?>
<Un casino! Mi sento un po’ confusa. Com’è possibile che sia così poco conosciuto? >
<Eheh. È ciò che fa sì che rimanga così speciale in fondo. Credo tu possa capire.. è così?>
<Credo di si..>
Dopo quella risposta, ci guardiamo a lungo, in un intenso silenzio.
<Ma chi sei tu? > mi chiede.
Mi colpiscono le sue domande così dirette! Mi piace.
<Chi vorresti che fossi per questa sera? > Ride, molto divertita..
<Bè, se io sono la Dea di sabbia…> mi avvicina a sé: <Guardami! Tu chi vorresti essere? > Non mi va di sforzarmi a rispondere, non mi viene nessuna risposta geniale, ma penso che in fondo va bene così. Senza toccarla, comincio a disegnare il suo volto. La sento vicina, molto vicina, ma non oso sfiorarla. Avvicino le dita a disegnare le guance, poi il naso, infine le labbra. Gliele sfioro appena.
Lei ad occhi chiusi con un morso rapido mi prende il dito medio nella sua bocca, e comincia a succhiarmelo. Mi sto già bagnando.
Arrotola le bretelle della mia canotta, mi tira un po’ a sé e poi mi allontana. Lei è ancora costretta dentro al suo strettissimo vestito. Mi sto eccitando solo a guardarla. Cerco di capire ciò che desidera. Vorrei farla godere tantissimo. Si gira di spalle, mi prende una mano e l’avvicina alla cerniera. Lo faccio lentamente, in apnea, fino a dove scendo? Fino in fondo. Lei si rigira di fronte a me e dice: <Toglimelo>. Mi faccio più vicina a lei e partendo dalle spalle glielo tolgo, fino a metà busto. Voglio succhiarle i capezzoli nudi e turgidi davanti a me, ma ho timore che il tatto possa rovinare l’atmosfera. Lei mi prende la voglia e la mano e mi porta sulla scaletta d’emergenza, dove appoggia la schiena, apre un po’ le gambe e mi tira a sé, tra le sue gambe. Mi passa la mano tra i capelli, accompagnando con delicatezza la mia bocca ai capezzoli e reclina all’indietro la schiena.
Mi aggrappo ai pioli della scala su cui è poggiata, tenendola tra il mio gomito e bicipite. Le lecco piano i capezzoli duri. Mi sento bagnata e tremula in ogni parte del corpo. La mia fica è rovente, bagnata, morbida, la clitoride turgida. Potrei venire adesso, anche solo guardandola, ma cerco di trattenere ancora il momento e prolungare quello stato d’eccitazione. Mi chiede di girarla di schiena e di darle degli schiaffi su fianchi e cosce. Mano a mano che aumento l’intensità, i suoi gemiti di eccitazione aumentano, si contorce e rotola verticale sulla scala, mezza vestita e mezza nuda. Mentre io, ancora del tutto vestita, possiedo i suoi fianchi contro il mio ventre. Si rigira, mentre mi guarda negli occhi, mi prende la mano e la porta tra le sue gambe per farmi sentire quanto è eccitata.
Sto affondando. La stringo tutta con ogni parte del mio corpo, anche con i denti. Le dico che sto per venire. Vuole questo. Vuole farmi impazzire. Mi toglie la mano da in mezzo le sue gambe e mi avvinghia a sè ora, sussurrandomi all’orecchio: <Lasciati andare tesoro, vieni. Vieni tesoro. Vieni con me, vieni qui dentro di me >
Sono esplosa in un piacere che non ho mai provato prima con questa intensità. Mi sono bagnata al punto da sentire le gocce di piacere scendere fino alla caviglia e le gambe hanno continuato a tremare per un po’, mentre lei sospirava dei prolungati e soddisfatti <Si>.
Alzo lo sguardo, lentamente, la guardo negli occhi e mi getto nuovamente tra le sue tette. Ci sorridiamo.
<Ora scenderemo e la Dea di sabbia si trasformerà, tesoro>
Non ci avevo pensato fino a quel momento.. annuisco.
Si riveste, scendiamo. Incontriamo al piano terra un gruppo folto di persone che si sposta per un altro dj set. La perdo tra loro. La Dea di sabbia è svanita.
Dopo un po’ decido di terminare la mia serata e tornare a casa. In lontananza vedo lei con le sue amiche, la ragazza carina del pomeriggio. Mi saluta calorosamente da lontano. I lineamenti somigliano molto a quelli della Dea di sabbia. Cioè, sono proprio quelli! Eppure non è lei, è diversa, è un’altra.
Voglio ritrovarla su quella scala, voglio ritrovare quel desiderio che non avevo mai provato prima. Voglio le sue mani chiedermi decise e delicate cosa fare e assecondare la sua eccitazione. Mi chiedo se sarà mai possibile incontrarla di nuovo. O se non sia stato che un miraggio, già scomparso nel deserto e nei ricordi di questa speciale prima serata al Baroque.
Mi chiedo se lei, se lo sia già scordata.